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Il dio privato

27-03-2007 / A parer mio

di Claudio Cazzola

Non poteva nutrire dubbi di sorta il parroco della chiesa del Gesù di via Borgoleoni. Anche senza essere fisicamente presente nelle aule dell'attiguo liceo classico, egli poteva agevolmente seguire la programmazione dei compiti in classe in base al numero delle candeline accese. Vi erano mattine molto intense, col traffico intasato da postulanti las grazia divina mediante l'oblazione di un cero - e anche qui a seconda delle possibilità economiche, mica erano tutte uguali, le candele, e per lunghezza e per larghezza; un vero e proprio esercito di fiammelle impetranti, nelle segrete volontà degli offerenti, misericordia da parte dello sguardo divino, in particolare in occasione delle prove di versione dal greco e, a quei tempi, dall'italiano in latino. E poi, in fondo, che male c'era? Non si danneggiava nessuno, né si offendeva il prossimo, anzi: in caso di godimento dell'ispirazione superiore poteva beneficiarne anche il compagno scettico o, peggio, miscredente. Si trattava in effetti della coltivazione, più o meno conscia, di un culto privato, teso al raggiungimento di uno scopo individuale, utilitaristico, quasi quasi velato di vergogna - tanto è vero che si cercava di arrivare molto presto, intorno alle sette e quaranta, allorchè non vi fossero testimoni imbarazzanti nei paraggi. Codesto scampolo di memoria autobiografica ginnasiale si palesa in tutta la sua vivezza a fronte della lettura (meglio, della rilettura) di un prologo plautino, quello della commedia intitolata Aulularia, nota in italiano come La pentola del tesoro. La peculiarità che connota l'inizio del testo, che ancora spettacolo non è, è dovuta alla presenza di un dio, cui Plauto assegna la funzione di preparare, con il prologo appunto, l'azione scenica vera e propria. Una divinità collocata come personaggio incipitario non è un unicum nel teatro plautino: nel caso che ci interessa essa è rappresentata dal Lare domestico (il Lar familiaris dei Romani), un valore assoluto nell'universo concettuale della organizzazione sociale, essendo costui il vero e proprio garante dell'esistenza di una casa, di un gruppo familiare, di una comunità fortemente organizzata intorno al focolare, a guardia del quale stanno appunto le statuette degli antenati della gens, i Lari appunto. Il fatto che dunque appaia in scena, e per primo, il dio protettore della vita familiare costituisce per il pubblico un segnale inequivocabile: la vicenda che si annuncia resta rigorosamente confinata dentro le mura della casa (domus), né possiede alcuna ambizione di uscirne. E infatti ecco che il Lare affronta subito il problema domestico attorno al quale ruota la storia, che non è altro che l'aviditas - l'avarizia - che si trasmette come tratto ereditario da padre in figlio fra i proprietari della casa medesima: il nonno dell'attuale padrone, da quell'avarus che era, aveva sotterrato sotto la pietra del focolare un tesoro, supplicando il dio domestico di proteggerlo, senza rivelarne, nemmeno in punto di morte, al figlio l'esistenza. Il quale figlio, di carattere identico, non si era mai preoccupato di onorare con le dovute cerimonie il Lare, che quindi non lo ha aiutato a trovare il tesoro, e così pure il figlio di costui, attualmente vivo, il cui nome è Euclione: una generazione maschile dunque dura di cuore, incapace di nutrire nemmeno quel sentimento di piccola privata religiosità richiesta da colui che parla. A questo punto, a spezzare la catena degli avari, ecco la figlia, unica, del proprietario, la quale, come ci si aspetta dal punto di vista di chi assiste allo spettacolo, è di tutt'altro carattere - pia, rispettosa dello spazio sacro domestico, per cui, pur nella povertà imposta dall'avarizia paterna, trova il modo di onorare il Lare, qualche grano di incenso, un po' di vino - insomma, si comporta in modo da trovare, presso il dio, benevolenza senza saperlo. Arriva naturalmente l'occasione propizia per rendere alla buona fanciulla onore per i suoi meriti, allorchè questa, durante le ore notturne della festa di Cerere dea della fertilità delle messi (12-18 aprile), rimane incinta di non sa chi, mentre lui lo sa benissimo: il dio domestico dunque, che ha già fatto trovare al padre il tesoro nella pentola sotterrata, farà di tutto perché questo diventi la dote, necessaria e doverosa, per un giusto e sano matrimonio riparatore. Il che, puntualmente, avviene, per la gioia dei due giovani, per la soddisfazione delle attese del pubblico, e per il buon funzionamento del meccanismo comico, che vuole realizzare sulla scena quella giustizia autentica che manca, regolarmente, nella vita reale. È ciò che accade coltivando, allora come oggi, un dio privato (che almeno ci protegga in occasione dei compiti, in classe e fuori).