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4 Novembre, memoria civile della nostra Nazione

04-11-2016 / Punti di vista

di Tiziano Tagliani

​Il 24 maggio 1915 l'Italia entrava in guerra. Appena un anno dopo la conclusione di quel primo conflitto mondiale, si avvertì la necessità di istituire la giornata del 4 novembre. L'esigenza di una data, per celebrare la piena realizzazione dell'ideale risorgimentale dell'unità nazionale e per ricordare l'altissimo contributo dato dalle Forze Armate, nel compimento di questo lungo e tormentato traguardo.

Il 4 Novembre rappresenta per tutti, quindi, la memoria civile di una nazione che se da un lato raggiunge la piena consapevolezza di esserlo su una terra finalmente non più percossa e derisa, dall'altro non può non rivolgere uno sguardo ai costi impressionanti per realizzare questo sogno. Innanzitutto umani. In quella che ormai in tanti hanno chiamato un'enorme carneficina, persero la vita almeno 10 milioni di soldati, un numero imprecisato di civili e a milioni si contarono i feriti e i mutilati. Mutilati nel fisico e nella mente, perché nessuno può uscire indenne dalla guerra, allora come oggi.

Tuttora nel nostro paese non c'è località in cui non vi sia una lapide che ricorda e che elenca i nomi di chi non è più tornato da quel conflitto, accanto alla pietra che riporta il proclama di vittoria del generale Diaz.​Non ci fu famiglia italiana che al termine di quel conflitto devastante non pianse la morte di un figlio, un fratello, un parente, un marito, un amico. L'Europa che credeva di avere realizzato il sogno della "Vie Lumière" e tracciato la linea infinita del progresso; l'Europa i cui figli varcavano i confini per imparare il francese, l'inglese e il tedesco, o che si recavano in Italia per il "Grand Tour" fra arte, monumenti e rovine, si trovò invece nel fango e nel gelo delle trincee. Così, in quei fossati fatalmente a pochi metri di distanza di fronte uno all'altro, quegli stessi giovani un tempo dediti a discutere nei bistrot, nei teatri e nei caffè, ora si guardavano come nemici e morivano a migliaia in ogni assalto, spesso per conquistare poche decine di metri.

Distanze insignificanti perse e riconquistate decine di volte, come continua a raccontarci il fiume vivo e toccante della corrispondenza di soldati e ufficiali, capitolo decisivo e centrale della storia della Grande guerra.

"Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie", scrisse Giuseppe Ungaretti proprio dal fronte, descrivendo in modo ermetico e straordinariamente potente, il senso e la condizione di totale precarietà che regnava come un presagio nell'inferno delle trincee.​È la storia tragica delle divisioni dei regni e degli imperi d'Europa, i quali per imporre la loro cieca fame di potenza non videro che mandando al massacro i propri figli, finirono per cancellare il loro stesso futuro. Quel tremendo conflitto lasciò sul terreno non solo un enorme numero di lutti, ma sparse anche per le vene dell'Europa una tale catena di rancore, odio, devastazione, fame e miseria, che questa miscela incandescente finì per scoppiare solo pochi anni dopo, nella seconda, ancora più devastante, guerra mondiale.​Emblematico fu quel vagone ferroviario nel quale la Germania imperiale subì le durissime condizioni della resa nel 1918, dettate dai vincitori. Lo stesso vagone ferroviario, nel quale Hitler nel 1940 volle rendere alla Francia uguale umiliazione, dopo la presa nazista di Parigi.

Quel doppio suicidio dell'Europa mostrò tutta l'inadeguatezza di regimi imposti senza e contro il popolo e il cumulo di macerie lasciate ovunque hanno rappresentato, allo stesso tempo, il loro crepuscolo e l'alba della via democratica.

Democrazia come sistema di governo fondato proprio sul consenso dei popoli, perché a tutte le donne e agli uomini di una nazione appartiene la sovranità, come recita anche la nostra Costituzione.

Da qui nasce il nuovo percorso dell'Europa, che ha imparato dal proprio passato doloroso a costruire sentieri di amicizia, dialogo e collaborazione. Così da settant'anni, pur non senza difficoltà, abbiamo saputo costruire nuove opportunità di prosperità e di pace.​Per questo motivo si può, e per certi versi si deve, criticare un'Unione Europea effettivamente percepita più come una serie di vincoli, limiti da rispettare e anche muri e barriere di filo spinato da non oltrepassare, che come occasione e prospettiva aperta di futuro per i popoli che la compongono. Ma non per questo si può cedere alla tentazione, purtroppo diffusa, di rinunciare a compiere un progetto che è intimamente scritto nel patrimonio genetico civile dei popoli d'Europa.

Perciò il nostro compito - non formale, né rituale - è di conservare e trasmettere la memoria di ciò che è stata l'assenza dell'Europa unita.​E soprattutto, delle tragiche conseguenze che quest'assenza ha prodotto.

Il nostro europeismo nasce qui; e qui affondano le radici che devono continuare a sostenere i passi del cammino che abbiamo ancora da compiere. Un percorso che ha quindi bisogno di più unità, non di meno, specie di fronte alle tentazioni disgregative che stiamo vedendo e a uno scenario internazionale che ci consegna crescenti motivi d'inquietudine.​Un contesto reso instabile da numerosi teatri di scontro e di conflitto, tanto che Papa Francesco ha più volte lanciato l'allarme di una terza guerra mondiale combattuta a pezzi.

Oggi è giusto ricordare che in molti di questi fronti sono impegnate le nostre Forze armate, sempre chiamate a intervenire sotto le bandiere della Comunità internazionale. Missioni per le quali, anche negli ultimi anni, il nostro paese ha pagato un prezzo molto alto in vite umane e che sono motivo di apprezzamento internazionale per professionalità, capacità di mediazione dei conflitti e azioni di assistenza e aiuto alle popolazioni civili, da sempre vittime innocenti di ogni guerra.

È con questo intento che oggi rivolgiamo anche un pensiero ai fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, perché la vicenda che li vede coinvolti arrivi presto alla giusta conclusione.

Allo stesso modo il nostro pensiero va a tutti i militari italiani impegnati nel mondo in delicate azioni di stabilizzazione e di pace, oltre a quelli che, insieme a volontari e forze dell'ordine, continuano l'azione di accoglienza e assistenza verso flussi migratori che non hanno sosta. Un fenomeno che è inequivocabile segno e risultato di squilibri ingiustamente creati nel mondo, al quale vanno date risposte complesse, concrete e soprattutto europee, come finora non è stato.

Non slogan, che sa bene anche chi li pronuncia che non sono la soluzione del problema.

​E naturalmente, il nostro pensiero è rivolto oggi ai milioni di soldati che hanno perso la vita durante la prima guerra mondiale. Ai soldati e civili di ogni fronte, oltre la logica nemico-amico, perché come italiani ed europei, insieme, la giornata del 4 Novembre ci chiama a fare tesoro della lezione della storia, i cui frutti sofferti sono per tutti la libertà, la pace, la democrazia.

Frutti che nel momento stesso in cui li sappiamo trasmettere ai nostri figli, costruiamo insieme il loro e nostro futuro.

​Viva il 4 Novembre, viva l'Italia, viva l'Europa.