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L'8 marzo oggi. Il tema della prostituzione, tra divieti assurdi e deregulation

08-03-2017 / Punti di vista

di Paola Peruffo*

Il senso di attualità dell'otto marzo si misura in riferimento agli innumerevoli problemi che ancora attanagliano l'universo femminile anche in questi anni. Indubbio che le condizioni generali siano migliorate, ma rimangono ancora complessi risvolti sociali su cui è giusto continuare a impegnarsi nella difficile opera di affermazione dei diritti di noi donne.

Per non perdersi nei meandri della generalizzazione desidero soffermarmi su un singolo tema, prendendo spunto dalla cronaca e dai recenti dibattiti istituzionali: quello sulla prostituzione. Si tratta di un coacervo di situazioni in cui si intersecano varie componenti, dall'immigrazione, alla riduzione in schiavitù, alla dignità personale, fino alla libertà di scelta in merito all'utilizzo del proprio corpo.

Il confronto che si è innescato sul recente art. 41 del nuovo Regolamento di Polizia Urbana dimostra che la questione è quanto mai controversa, con posizioni che esulano dagli steccati dei singoli partiti, come per la maggior parte delle tematiche etiche. Personalmente, al pari delle principali associazioni femminili del territorio, ritengo che limitarsi a multare severamente i clienti non sia il modo utile per arginare il fenomeno.

Come sottolineato da più parti, puntare sul proibizionismo, soprattutto da parte di un ente non legislativo come il comune, rischia unicamente di spostare il problema senza minimamente risolverlo. Da una situazione palese, ci si sposterebbe ad ambiti più nascosti e quindi ancora più pericolosi, sia per le donne che operano in questo mercato che per i clienti, con la malavita pronta ad approfittare in modo ancora più bieco e incisivo di quanto già avviene. La prassi sempre più in voga nel nostro Paese continua a essere quella di arroventarsi in sterili discussioni senza mai imboccare la strada per risolvere i problemi. Il coraggio anche in questo caso dovrebbe maturarlo il Parlamento, sulla scorta dell'esperienza di quanto avviene nei più avanzati stati europei.

Una legalizzazione controllata del fenomeno vorrebbe dire lotta serrata alla schiavitù in cui versano molte immigrate, in larga parte minorenni, tutela della salute di donne e clienti, regolarizzazione contributiva e quindi entrate fiscali ora inesistenti per lo Stato. Il tutto accompagnato da percorsi di crescita che ovviamente devono insegnare, già in età adolescenziale, l'impoverimento morale connesso alla mercificazione del proprio corpo e al tempo stesso salvaguardare il diritto sacrosanto di ogni donna di poter scegliere il proprio futuro in modo autonomo.

*vicepresidente commissione comunale Pari Opportunità