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Quant'era bella "Giovinezza, giovinezza", film girato in città e dimenticato

30-05-2017 / A parer mio

di Paolo Veronesi

Sono trascorsi quasi cinquant'anni e nessuno, a Ferrara, ne parla più. Molti ricordano - ed è un bene - "La lunga notte del '43" e "Amore amaro" (bellissimi film girati dal concittadino Florestano Vancini nel 1960 e nel 1974), e così pure "Il giardino dei Finzi Contini" (1970), pellicola tratta dall'omonimo romanzo di Giorgio Bassani (il quale tuttavia rifiutò di firmare la sceneggiatura) e che regalò a Vittorio De Sica l'Orso d'Oro al Festival di Berlino nel 1971 oltre che l'Oscar come miglior film straniero nel 1972. Quando va davvero bene, ma occorre fortuna, qualcuno rammenta inoltre che a Ferrara e dintorni sono stati girati squarci di due film sicuramente fondamentali per la storia del cinema: "Cronaca di un amore" (1950) e "Il grido" (1957), entrambi diretti da un altro concittadino divenuto giustamente e universalmente famoso: quel Michelangelo Antonioni che è persino riduttivo qualificare solo un regista e che - spero di sbagliare - molti stanno lentamente regalando all'oblio. Potrei continuare a lungo ma gli elenchi mi annoiano: ho l'impressione che siano spesso snocciolati da chi ha poche idee.

Di certo pochissimi ricordano invece che a Ferrara, nel 1969, si girò un altro film di pregio: si tratta di "Giovinezza, giovinezza", tratto dall'omonimo romanzo di Luigi Preti, uscito nel 1964 e poi tradotto in decine di lingue. E anche se nel libro l'autore trasfigurava la nostra città in una misteriosa Padusa, era peraltro chiarissimo che in esso si narravano vicende ferraresi. A firmare il film era Franco Rossi, assai noto in quegli anni per aver diretto "Odissea", lo sceneggiato messo in onda dalla Rai nel 1968 con enorme successo di pubblico (chi può mai dimenticare il terrificante Polifemo, realizzato da Mario Bava?). Dietro la macchina da presa dipingeva la bellissima fotografia in bianco e nero del film ferrarese un ancor giovane Vittorio Storaro, il quale avrebbe vinto poi ben tre premi Oscar e contributo alla riuscita di alcuni lavori davvero preziosi (ne ricordo solo uno, il mio preferito: "Il conformista" di Bernardo Bertolucci).

Tutte le pellicole che ho sopra menzionato sono state (fortunatamente) riversate in videocassetta (al tempo dei videoregistratori) poi in dvd (nell'era dei lettori); talvolta capita addirittura di scovarne qualcuna nella programmazione sempre più asfittica di Sky. Per "Giovinezza, giovinezza" niente di tutto ciò. Il film è scomparso e la celluloide che lo componeva si è come metaforicamente sfarinata.

Molto ci sarebbe invece da dire su questo film, sul libro dal quale è stato tratto - pur discostandosene, se ben ricordo, in più d'un accento - e sull'autore di quest'ultimo: quel Luigi Preti, politico socialdemocratico ferrarese, membro dell'Assemblea Costituente e poi più volte consigliere comunale, oltre che deputato e ministro della Repubblica. Personalmente ho potuto assaporare la pellicola una sola volta, tanti decenni fa, nel corso di una rassegna organizzata da Paolo Micalizzi presso l'allora cinema Embassy, gestito dall'appassionato Antonio Azzalli. Poi il buio. Eppure quel bianco e nero è ancora impresso sulla mia retina di (allora) troppo giovane cinefilo, così come taluni coraggiosi tagli d'inquadratura (indimenticabili quelli a perpendicolo del bugnato di Palazzo dei Diamanti o dell'ingresso della Sala Estense), l'inconfondibile sagoma liberty di Villa Melchiorri su Viale Cavour, utilizzata come abitazione di un protagonista (per gli interni pare che sia stata però utilizzata anche l'ex casa Quilici, di fronte all'Hotel Astra), o i set presso la Caserma di via Cisterna del Follo (allora in pieno funzionamento) o lungo la via Ripagrande. Ricordo una nebbia fumosa, all'epoca assai presente negli inverni cittadini, filmata con un'abilità tale da renderla materialmente e olfattivamente percepibile. E poi la storia, per nulla banale: un gruppo di studenti universitari, amici inseparabili, che - per vie diverse - raggiunge, nell'arco di un decennio, la progressiva consapevolezza del marciume e dei disastri provocati del fascismo, talvolta transitando dall'esaltazione inconsapevole del nuovo solo perché tale alla lotta nella Resistenza. Ricordo lo struggente finale che mi guardo bene dal raccontare. E rivedo, in un'eterna angolazione dal basso (ero un bambino), la troupe per le vie cittadine, riavvertendo lo sconcerto che colpì molti nostri conterranei allorché appresero che a interpretare uno dei protagonisti ferraresi era stato chiamato un attore parigino di bell'aspetto (quell'Alan Noury che sarebbe poi comparso anche nello scandaloso "Histoire d'O" del 1975). Come dimenticare poi Olimpia Carlisi, divenuta famosa per aver presentato l'edizione del Festival di Sanremo del 1980 con Roberto Benigni (ma io preferisco rammentare le sue numerosissime interpretazioni cinematografiche per la regia di autori di gran classe: Giuseppe Bertolucci, Sergio Citti, Andrè Techine, Peter Del Monte, Rossellini, Ettore Scola, Fellini e chi più ne ha più ne metta). Una curiosità: tra gli interpreti di "Giovinezza" figura un tal Leonard Manzella che, con il nome d'arte di Leonard Mann, sarà, qualche anno più tardi, il protagonista maschile del già citato "Amore Amaro" di Vancini, accanto a un'irresistibile Lisa Gastoni. E molti furono i ferraresi coinvolti nella lavorazione. Pensate solo a Beppe Faggioli o a Colomba Ghiglia, il cui nome figura in bella vista in tutte le schede del film e che (mi dicono) abbia abbandonato Ferrara già da qualche tempo, dopo aver gestito per tanti anni quell'indimenticabile ristorantino d'altri tempi che prendeva il suo nome in vicolo mozzo delle Agucchie.

La proposta è questa: perché non avviare una raccolta di fondi (crowdfunding si usa dire adesso) per restaurare questo film nell'approssimarsi dei suoi splendidi cinquant'anni? Presso la Cineteca Nazionale di Roma dovrebbe esserne conservata almeno una copia e, dunque, non pare impossibile rintracciare la "pizza" da affidare poi agli esperti della Cineteca di Bologna. Potrebbe essere un modo per rivedere una città che non c'è più e respirarne l'aroma, oltre che l'occasione per recuperare un bel frammento di storia del cinema: chi l'ha detto che solo i capolavori hanno il diritto di vivere?. E, comunque, non mi va giù che "Giovinezza, giovinezza" possa finire in polvere: se quest'esigenza sarà condivisa anche da altri e qualcuno potrà farsi carico di gestire la cosa (l'Assessore Maisto, sempre molto sensibile su questi temi? Oppure l'Arci, che tanto ha dato alla programmazione cinematografica ferrarese?) l'obiettivo potrebbe essere a portata di mano. Altrimenti: scusate il disturbo.

Paolo Veronesi

(vrp@unife.it)