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Centro storico di Ferrara: il recupero a città d’arte e cultura (1978-2018)

23-05-2018 / A parer mio

di Alberto Guzzon *

Il 1978 fu un anno speciale per la città. Il Comune di Ferrara fu tra i primi in Italia ad investire sul patrimonio culturale, attivando la cooperativa Coop.R.A. Cooperativa Restauri Architettonici costituita da una trentina di giovani per la redazione dei piani di recupero del centro storico previsti ai sensi dell'art. 28 della Legge n° 457 del 1978.
Oggi stiamo assistendo al grande successo turistico delle città d'arte e può sembrare incredibile che quarant'anni fa, nel 1978, i centri storici italiani sembrassero condannati all'abbandono e al degrado. Ferrara non faceva eccezione: gli abitanti ambivano a trasferirsi nei moderni quartieri esterni (PEEP e nuove lottizzazioni) dove si stavano insediando le attività economiche e i centri commerciali. Ma Ferrara, in controtendenza rispetto all'andamento generale, anziché assecondare questo fenomeno, adottò una variante al piano regolatore con la quale poneva particolare attenzione al centro storico e al riequilibrio delle aree esterne attraverso un grande Parco Urbano che la ricongiungeva idealmente al Po: si trattava di uno strumento urbanistico innovativo che dettava rigide e fondamentali regole di tutela, che resero la città un caso esemplare per altri centri italiani ed europei (una mostra sul nuovo piano di Ferrara fu esposta a Casa Romei e un'altra dal titolo "Volontà politica e assetto urbano" fu esposta anche all'estero, a Parigi, Capodistria, Bucarest).
Da quella virtuosa visione iniziale scaturì poi il "Progetto Mura", che fu un vero e proprio piano regolatore del sistema culturale e museale, foriero del restauro dei maggiori palazzi pubblici e privati. Successivamente, la nuova sensibilità verso gli aspetti culturali si allargò fino a comprendere il paesaggio e le architetture industriali dismesse .
Centro storico di FerraraL'insieme delle "buone pratiche" urbanistiche adottate sostenne e motivò la richiesta del riconoscimento di "valore universale" Unesco per suggellare e consolidare la crescente eimportante vocazione turistica e culturale.
Risale a quarant'anni fa, dunque, il momento cruciale in cui fu lanciata l'idea del centro storico e delle politiche urbanistiche di tutela e valorizzazione, infatti, come detto sopra, nel 1978 fu approvato il nuovo piano regolatore (variante), di cui dal 1975 la città si era dotata, quale fondamentale strumento per l'adeguamento degli standards urbanistici, la salvaguardia del verde agricolo e soprattutto del centro storico, avvalendosi delle prestigiose consulenze del professor Leonardo Benevolo, degli architetti Carlo Melograni, Roberto D'Agostino, Michele Pastore, Roberto Scannavini, Maurizio Bernardi, Giancarlo Martinoni, e degli ingegneri comunali Achille Melloni e Probo Prampolini.
Da allora, gli anni di lavoro trascorsi hanno visto progressivamente realizzarsi una prospettiva di rilancio della città che, negli anni Ottanta, stava accusando la crisi delle attività produttive culminata nel radicale ridimensionamento del polo chimico, nella chiusura degli zuccherifici e di molte altre attività industriali.
Per superare la crisi e compensare la perdita di occupazione delle dismissioni industriali, oltre al reimpiego nel settore dei servizi amministrativi e commerciali, la scommessa per il futuro fu quella di puntare sull'idea di Ferrara città d'arte e di cultura, recuperando, attraverso le mura, gli antichi palazzi e i musei, l'immagine della signoria estense che l'aveva contraddistinta nel panorama italiano ed europeo.
A partire dal piano regolatore, si diffuse un clima di grande interesse per il centro storico che favorì sempre nell'ottobre del 1978 lo svolgimento a Ferrara del Symposium europeo sul patrimonio architettonico, dal tema "Vitalità delle compagini storiche, fattore e prodotto di riequilibrio tra città e campagna" promosso dal consiglio d'Europa.
Per affrontare il problema della casa molto sentito nelle zone malsane e degradate del centro, l'Amministrazione Comunale sostenne la costituzione di una cooperativa di tecnici e studiosi con ventiquattro geometri, tre architetti, due ingegneri, una laureata in storia dell'arte: tutti giovani non ancora occupati che furono chiamati a far parte della COP.R.A. (Cooperativa Restauri Architettonici) in base alla legge 285 del 1977, per l'occupazione giovanile.
L'obiettivo di fondo era quello di favorire la rapida e coerente attuazione del piano regolatore, e, per far questo, era necessario conoscere il centro storico attraverso rilievi e ricerche, studi, progetti sul patrimonio immobiliare e sugli abitanti.
L'incarico aveva per oggetto questa indagine e prevedeva:
● Schedatura degli edifici
● Analisi tipologica e verifica delle indicazioni di piano
● Rilievo diretto e disegno dell'edificio
● Indagine storico-critica sulle origini dei fabbricati e loro trasformazioni
● Schedatura dei beni culturali ed artistici (affreschi, solai a cassettoni, logge, colonnati, portali, ecc.)
● Analisi della composizione sociale e proprietaria degli immobili
Di particolare interesse furono le rilevazioni che vedevano gli immobili occupati solo per il 75%, contro il 94% del centro cittadino, in contemporanea con una percentuale notevole di sovraffollamento del 74,45 %.
La diffusa fatiscenza degli alloggi, accompagnata all'inadeguatezza e mancanza dei servizi igienici e degli impianti di riscaldamento, aveva determinato il progressivo abbandono delle abitazioni e la prevalente permanenza della popolazione più anziana.
Il lavoro consisteva nel rilievo degli isolati più degradati e nel censimento dei loro abitanti, per poter sviluppare alcuni "progetti tipo" di restauro compatibili con una trasformazione residenziale più adeguata.
Da tempo immemorabile, dalle istanze igieniste e di ordine pubblico di fine Ottocento, il problema del "risanamento" era stato molto sentito per la zona di San Romano, Via Volte, San Niccolò, dell'ex ghetto ebraico e di Fondobanchetto: con il nuovo piano una sua soluzione aveva acquisito grande attualità, importanza politica, economica e culturale.
I primi isolati presi in esame dal piano di recupero di San Romano sono stati due, quello organizzato sulla spina di via Capo delle Volte e quello compreso tra via Vaspergolo, via Ragno, Corso Porta Reno e la via San Romano.
Sulle origini e sulla formazione di detti isolati sono state effettuate specifiche ricerche storiche e scavi archeologici che hanno evidenziato un'organizzazione fondiaria basata su unità di misura romane e la presenza di abitazioni originariamente lignee che poi hanno dato luogo ad una edificazione continua attraverso varie combinazioni di casseri sviluppati in profondità sull'intero lotto, spesso interrotti da una corte interna.
L'attività dei giovani coinvolti si svolse in due direzioni: il patrimonio pubblico comunale del centro storico ed il patrimonio immobiliare privato all'interno dei sub comparti individuati nel progetto. Il primo sub comparto analizzato fu quello di San Romano: se ne occupò uno dei quattro gruppi che si costituì, un secondo gruppo effettuò i rilevamenti sul Palazzo Podestà e sul Palazzo Municipale, e un terzo gruppo su palazzo Paradiso. Questi primi tre gruppi avevano carattere squisitamente tecnico mentre un quarto gruppo si occupò della ricerca storico catastale e delle indagini socioeconomiche quali elementi conoscitivi indispensabili per poter effettuare gli interventi successivi.
Il quarto gruppo ebbe come punto di riferimento l'Archivio di Stato, l'Archivio Storico Comunale, la conservatoria dei registri immobiliari e l'Ufficio Tecnico Erariale.
Contemporaneamente all'attività "sul campo" tutti i componenti della cooperativa dovevano partecipare ai corsi di formazione per la conoscenza della città e del piano regolatore.
Il sindaco di allora Radames Costa rivolse un invito ai cittadini a prestare ai giovani la necessaria collaborazione.
La fase successiva doveva essere quella degli interventi veri e propri, di ripristino e restauro degli edifici. Cosa che avvenne effettivamente, ma senza ulteriore contributo del Comune e grazie alla iniziativa privata, stimolata dalla nuova attenzione generale e anche dal prestigioso intervento dell'arch. Natalini in Porta Reno, che indusse un contagio virtuoso e spontaneo a tutta l'area circostante.
Inoltre, dalla conoscenza maturata attraverso quegli studi vennero elaborati diversi piani di recupero e progetti di restauro, ma soprattutto, si formò negli imprenditori e nei cittadini la consapevolezza del valore, allora misconosciuto, dell'edilizia minore del centro storico, visto nel suo insieme come un unico monumento, non più dunque solo attraverso i principali monumenti del Duomo e del Castello. Emerse, per la prima volta, la coscienza dell'autonomia, dell'originalità di questa parte urbana e del peso che essa aveva ancor prima della celebrata stagione rinascimentale di Biagio Rossetti.
Oltre alle indicazioni normative per indirizzare gli interventi di recupero, si aprì la prospettiva di una rivalutazione della "città medievale", imperniata sull'asse lineare, parafluviale, di Via delle Volte e che comprendeva la zona del castrum bizantino, una fitta rete di chiese e conventi e un pittoresco intreccio di vicoli porticati che andavano ad ampliare l'offerta turistica della città.

* Architetto, ex presidente della Coop.R.A. (Cooperativa Restauri Architettonici) 

Immagini scaricabili:

Centro storico di Ferrara Centro storico di Ferrara Pagina dell'Unità sulla cooperativa Coop.R.A.

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