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La fine della Banca d'Italia, nel silenzio...

24-01-2014 / A parer mio

di Fabio Conditi

 

Considerato il silenzio assordante che circonda il Decreto legge n.133 del 30 novembre 2013, denominato IMU-Banca d'Italia, appena approvato anche dalla Camera (24 gennaio 2014) con il ricorso al voto di fiducia, cerchiamo di capire quali sono le reali modifiche che vengono introdotte nella Banca d'Italia e quali le loro conseguenze.

Attualmente la Banca d'Italia è una istituzione di diritto pubblico, le cui quote di partecipazione sono quasi interamente in mano a soggetti privati, principalmente Intesa San Paolo 30% e Unicredit 22%, per effetto della svendita dell'IRI nel 1992, portata avanti da Andreatta e Prodi, e delle successive fusioni avvenute tra banche.

Nel 2005 la Legge n.262 (28/12/2005), al comma 10 dell'art. 19, obbliga il trasferimento allo Stato delle quote di partecipazione alla Banca d'Italia, prevedendo l'emanazione entro tre anni di un Regolamento per disciplinare il trasferimento delle quote in possesso di "soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici".

Ma questo trasferimento non è mai avvenuto in più di otto anni, anzi questo Decreto Legge vuole proprio mettere la parola fine a questa ipotesi, permettendo alle banche private di mettere le mani su uno dei patrimoni più importanti al mondo.

Infatti la Banca d'Italia, è una delle più importanti e ricche banche centrali, soprattutto per le sue Riserve Auree , pari a 2.712,60 tonnellate di oro, che sulla base del valore attuale dell'oro, pari a circa 30 euro/grammo, corrisponde a 80 miliardi di euro, collocandosi al terzo posto nel mondo dopo solo gli Stati Uniti 8966 ton. e la Germania 3744 ton., ma prima di tutte le altre grandi potenze mondiali : Francia 2685 ton., Cina 1162 ton., Russia 960 ton., Giappone 843 ton., India 614 ton., Arabia Saudita 323 ton., Regno Unito 310 ton., ecc...

Oltre alle riserve auree, la Banca d'Italia possiede le riserve monetarie e qualcosa come 6.500 immobili tra i più prestigiosi in tutte le più grandi città italiane, per un valore complessivo difficile da calcolare, ma che supera abbondantemente i 100 mld di euro.

La Banca d'Italia è quindi una istituzione che fa gola a molti, anche perchè partecipa con il 12,50% al capitale della Banca centrale Europea, per cui diventa importante comprendere quali sono le modifiche realizzate dalla conversione in legge del Decreto legge n.133 analizzando singolarmente i suoi singoli articoli e commi :

  • L'art.4 comma 1 definisce la Banca d'Italia istituto di diritto pubblico e banca centrale della Repubblica Italiana, e questo si sapeva, ma dichiara anche che "È indipendente nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze.", e questa è una novità perchè l'indipendenza nella gestione delle finanze è una caratteristica propria di un "proprietario" e non di un "partecipante".

  • L'art.4 comma 2 autorizza la Banca d'Italia ad aumentare il proprio capitale, mediante l'utilizzo delle riserve statutarie di proprietà dei cittadini, da 156.000 euro fino a 7.500.000.000 euro, ed anche qui la modifica è consistente in quanto comporta un aumento pari a 48.000 volte del "valore" delle quote di partecipazione, un bel regalo non c'è che dire. Nel momento in cui aumento il "valore" delle quote è perchè trasformo una partecipazione, con dividendi ridicoli, in una proprietà vera e propria, che è il vero motivo della modifica.

  • L'art.4 comma 3, infatti, prevede che ai partecipanti possono essere distribuiti dividendi annuali fino al 6% del capitale sociale, cioè fino a 450 milioni di euro, dividendi sottratti agli utili della Banca d'Italia, che per la sua natura pubblica, sono del popolo italiano.

  • L'art.4 comma 4 definisce i soggetti cui possono appartenere le quote di partecipazione, tra cui non c'è lo Stato, ma solo banche, assicurazioni, fondazioni, enti e istituti di previdenza e fondi pensione, basta che abbiano l'unico requisito necessario, la sede legale in Italia, mentre non importa se sono di proprietà italiana o straniera.

  • L'art.4 comma 5 stabilisce che "Ciascun partecipante non può possedere, direttamente o indirettamente, una quota del capitale superiore al 3 per cento.", per cui obbliga chi detiene quote superiori a cedere la parte eccedente, autorizzando al comma 6 la Banca d'Italia ad acquistare questa quota in attesa di venderla ad altri soggetti aventi i requisiti di cui al comma 4. Quindi, non solo ti rivaluto le quote, ma ti dico anche che devi vendere l'eccedenza rispetto al 3%, per cui la Banca d'Italia pagherà un valore 48.000 volte più alto, facendo un regalo insperato alle banche che hanno le quote eccedenti, come Intesa San Paolo ed Unicredit.

  • L'art.6 commi 1 e 2 modificano l'art.114 ed abrogano l'art.115 del Regio Decreto n.204 , impedendo allo Stato di esercitare un controllo effettivo sull'attività della Banca d'Italia, eliminando la possibilità di esercitare il potere di veto sia dell'Ispettore Governativo che del Ministro del Tesoro. Questo fatto insieme all'indipendenza nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze, impedisce qualsiasi controllo da parte dello Stato sull'attività di vigilanza sulle banche, che diventa solo formale, e permette una "gestione privata" del patrimonio pubblico della Banca d'Italia, di fatto pone le basi per il suo trasferimento in mano ai privati.

  • L'art.6 comma 3 abroga il comma 1 dell'art.5 del Decreto Legge n.691 del 17 luglio 1947, che impediva al Consiglio superiore della Banca d'Italia di avere ingerenza nelle materie del Comitato interministeriale credito e risparmio CICR, cioè l'organismo del Ministero dell'Economia e delle Finanze che deve garantire l'alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio.

  • L'art.6 comma 4 abroga il comma 10 dell'art.19 della Legge n.262, per cui le quote della Banca d'Italia non verranno trasferite in mano pubblica, ma rimangono in mano di soggetti privati, prevalentemente banche, in contrasto con la natura pubblica della Banca d'Italia e con l'enorme patrimonio accumulato per conto del popolo italiano in regime di "monopolio".

Riassumendo, con la definitiva approvazione di questo Decreto Legge si raggiungeranno i seguenti obbiettivi :

  • viene impedito il trasferimento delle quote allo stato, attuando la definitiva privatizzazione della Banca d'Italia, istituzione di diritto pubblico che amministra un ingente patrimonio di proprietà degli italiani;

  • viene meno la garanzia che la Banca d'Italia possa esercitare con obbiettività il suo ruolo di vigilanza del sistema bancario privato, perchè diventa di proprietà di alcune delle banche che dovrebbe controllare;

  • attraverso la rivalutazione delle quote e la necessità di venderle per rientrare nel limite del 3%, si fa un regalo immediato di circa 7.500 milioni di euro alle banche private, prelevandoli dalle riserve statutarie di proprietà dei cittadini, ed una rendita garantita per il futuro pari a circa 450 milioni di euro;

  • si abrogano tutte le norme che permettavano allo Stato, attraverso il potere di veto del Governo e del Ministero del Tesoro, di esercitare un controllo effettivo sulle decisioni deliberate dagli organi della Banca d'Italia nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze.

A questo punto, la nostra Banca d'Italia, custode del nostro patrimonio aureo, monetario e immobiliare, si avvia a diventare di proprietà dei grandi gruppi bancari e finanziari, con velocità che ha dell'incredibile: il Decreto Legge è stato pubblicato il 30 novembre 2013 e sta per essere approvato definitivamente in soli due mesi, feste natalizie e fine anno compresi.

 

Ma era 'necessario e urgente' procedere con questa riforma, perchè altrimenti avremmo 'corso il rischio' di disporre - in questo momento di crisi - del nostro patrimonio pubblico accumulato in tanti anni e, 'peggio', di avere una Banca d'Italia in grado di vigilare sul sistema bancario italiano senza il solito conflitti di interesse.

 

E' questo quello che vogliamo accada ?

Qualcuno ci ha chiesto se eravamo d'accordo ?

Cosa siamo disposti a fare per impedirlo ?