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Il mio ricordo di Antonio Slavich

13-03-2009 / A parer mio

di Giulia Maria Ciarpaglini *

Antonio Slavich "psichiatra del secolo scorso" come amava definirsi, è stato ferrarese Docper sette anni tra il 1971 ed il 1978, dal momento, cioè, del suo arrivo come direttore del Centro di Igiene Mentale, fino alla sua partenza per Genova. Un'"origine controllata" molto strettamente perché quei sette anni rivoluzionarono la psichiatria in questa città e in qualche modo anche la città stessa.
La Direzione del Centro di Igiene Mentale fu la prima fucina del nuovo corso. Sede via Ghiara, corridoio di piano terra, seconda porta a destra.
Convinto assertore della massima secondo la quale "dove non passa la scopa la polvere non se ne va da sola", Slavich era esponente di quella politica territoriale che all'epoca si definiva contestuale e che aveva tra i propri obiettivi una pratica decostruttiva dei manicomi di qualunque ordine e grado essi fossero. In contrapposizione ad essa, v'era quella dei territoriali puri vale a dire coloro che concepivano la lotta all'esclusione attraverso una politica essenzialmente territoriale lasciando il manicomio alla propria fisiologica progressiva decadenza. La mole di lavoro fu imponente, la costituzione/riformulazione delle equipe e di un nuovo stile di lavoro, il radicamento in realtà locali rese diffidenti da decenni di burocratica incuria, la creazione di strutture alternative all'istituzionalizzazione dei minori quali i Centri Educativi Assistenziali e Gruppi di Cooperazione Educativa. Sul piano istituzionale, i rapporti con i partiti politici sopratutto ed essenzialmente con il Partito Comunista, tanto in Porta Mare, quanto a Botteghe Oscure, quelli col sindacato, con la fabbrica e con la scuola. Tra quelli con i rappresentanti degli enti locali spicca il sodalizio con l'Assessora alla Sanità ed ai Servizi Sociali Carmen Capatti. Fu lei che si batté su tutti i fronti in favore dell'arrivo di Slavich instaurando con lui un rapporto fecondo e affettuoso che non è mai venuto meno. Accanto al Direttore, fresca di laurea, preziosa e infaticabile, la giovane segretaria, Maria Giovanna Cuccuru. L'allora "ragionier" Francesco Petrucci completava lo staff.
Contemporaneamente alla pratica quotidiana, procede l'elaborazione dell'impianto ideologico del nuovo corso. Dalle riunioni in casa di Gianfranco Minguzzi nasce il primo nucleo di Psichiatria Democratica del cui atto costitutivo Slavich sarà tra gli estensori. Dopo la partecipazione alla redazione di L'Istituzione Negata, passeranno più di trent'anni prima che Slavich metta mano a un altro scritto, ciò nonostante è notevole la mole di interventi, articoli da lui redatti, per non parlare delle delibere. E poi volantini, comunicati e dazebao, letteratura considerata minore ma all'epoca assai incisiva e aggregante. Con il pensionamento del prof. Franco Andsreasi, il primo dicembre 1975 Slavich diventa direttore dell'Ospedale Psichiatrico. La Lunga Marcia, come egli la definì era finita. Il territorio funzionante, i ricoveri decimati, toccava all'umanamente insopportabile, il Manicomio. Il racconto che Slavich fa nel suo "La Scopa Meravigliante" è avvincente. L'esautorazione dei vecchi primari, l'arrivo dei nuovi medici, l'apertura di una breccia nel muro maestro di Palazzo Tassoni "per farne defluire insieme con le persone anche il non senso", come scrisse nella sua introduzione lo stesso Slavich. Faticosa ed essenziale, la riconversione di S. Bartolo e la creazione del Centro Franz Fanon. Un capolavoro di intuizione fu l'istituzione della navetta Via Ghiara - San Bartolo. Ogni mattina un pullman partiva da davanti il numero 38 carico di persone che da anni, alcuni da decenni, non avevano mai varcato quelle mura e approdava a S. Bartolo. Lì, nel piccolo bar e nello spazio antistante, le solitudini diventavano gruppo, la monotonia abitudine, la mera vicinanza fisica l'inizio di nuove relazioni.
Anticipando di qualche mese il varo della Riforma Sanitaria, approvata nel maggio successivo, il manicomio di Ferrara, nel 1978 abdica dalle sue funzioni.
Il convegno La Scopa Meravigliante, tenutosi nei locali "aperti" del Palazzo di via Ghiara il 9 e 10 gennaio sancisce "il ruolo che nella riforma italiana avevano avuto ed avrebbero dovuto avere in futuro, la fantasia creativa e la leggerezza, in parallelo con la lotta concreta contro i manicomi e con la lotta di classe" (da: La Scopa Meravigliante). Slavich lascerà Ferrara per Genova il febbraio successivo. Visite personali a parte, tornerà nel '98 per un convegno promosso dalla Cgil sulla chiusura dei manicomi, nel 2001 per supportare la tremebonda autrice di un libro sui Gruppi Appartamento e di nuovo nel 2004 per la presentazione del suo volume La Scopa Meravigliante dove le vicende cui abbiamo accennato sono narrate con perizia e con passione. L'autunno scorso il sindaco di Ferrara, Gaetano Sateriale ha insignito Antonio Slavich del Premio Ippogrifo in una sala gremita e commossa, commossa perché Slavich era molto provato da un'annosa infermità, ma non tanto da rinunciare a far sentire le sue opinioni, le sue riserve le sue esortazioni
Mercoledì sera alle 22,30 Antonio Slavich ci ha lasciati.
E' toccato a me stendere queste brevi note. Avevo già fatto qualcosa di simile quando scrissi la recensione del suo libro perché nel gruppo degli amici/pupilli ferraresi di Antonio io sono quella dalla penna "facile". Ma oggi non è facile niente. I tanti eventi condivisi, le lotte, le discussioni, le risate, le delusioni e le speranze si affastellano tra il passato remoto e quello recente mentre questa tristissima morte annunciata consegna per sempre gli uni e gli altri alla custodia della memoria.
Ma se questa città si tiene salda ai suoi principi di democrazia tolleranza equità, se la battaglia contro la sofferenza e l'emarginazione è quotidianamente combattuta e spesso vinta, se qui meno che altrove lo strapotere del mercato si accanisce sui più deboli noi sappiamo che è anche merito dello straordinario Psichiatra del secolo scorso e dei suoi sette anni da ferrarese doc. Nessuno, men che meno la morte, potrà toglierceli mai.

* all'epoca Operatrice dei Gruppi Appartamento per Minori


Gli occhiali di Slavich
di Giulia Maria Ciarpaglini
da: "Una Stagione Particolare (un'esperienza nei gruppi appartamento per minori di Ferrara)
A cura di Delfina Tromboni
edizione Cartografica artigiana, Ferrara, 2001

I ragazzi (dei Gruppi Appartamento ,nda) non erano seguiti direttamente da nessuno tra psichiatri, psicologi e neanche noi, del resto, ma di ogni iniziativa appena un po' rilevante dovevamo parlare con Slavich. Una riunione mattutina si teneva quotidianamente in una sala dell'Ospedale Psichiatrico per aggiornare il Direttore sui fatti e sui progetti. Non c'eravamo soltanto noi, c'erano infermieri psichiatrici, assistenti sociali, volontari, medici. Erano riunioni che avrebbero dovuto durare un'ora circa, ma duravano sempre almeno il doppio. Si cominciava raccontando quanto di significativo era successo il giorno prima in un reparto o in un gruppo o in una equipe. Se una persona aveva dato particolari problemi questi venivano affrontati in una discussione generale così che pian piano si riusciva a conoscere un po' tutti gli utenti, sia dell'Ospedale che del territorio.
A volte capitava che fosse un operatore ad avere delle difficoltà nella gestione di un utente, momentanei fallimenti, per esempio delusioni oppure veri e propri errori di valutazione e anche in questo caso si cercava di capire non tanto dove stesse lo sbaglio, quanto quale fosse stato il motivo per cui l'interazione operatore-utente aveva prodotto un certo risultato piuttosto che un altro. Se c'era in atto un progetto particolarmente impegnativo come una dimissione o un cambiamento significativo nella gestione di qualcuno, ci prendevamo tutti l'impegno di teorizzare, prevedere, suggerire. Non era un vero e proprio lavoro di squadra in quanto le competenze effettive erano delimitate e diversificate, ma la discussione generale era un momento di scambi di idee, di informazioni, di esperienze.
Slavich era una presenza stimolante e decisamente catalizzante; veniva spontaneo a tutti rivolgersi quasi esclusivamente a lui ed estrema era l' attenzione con la quale veniva ascoltato; del resto aveva sempre una risposta o perlomeno un ventaglio di possibili soluzioni per qualsiasi problema e per questo era molto rassicurante.
Nel lavoro Slavich era attento, esauriente, infaticabile, paziente e puntuale; non risultava particolarmente simpatico, né dava l'impressione di tenerci; quello cui teneva oltre ogni dubbio era essere obbedito. In compagnia era godibile e spontaneo, amava ci incontrassimo nei locali pubblici, anche perchè all'epoca era in emergenza casa ed ogni tanto ne battezzava uno nuovo come "nostro". In realtà, poi, ci ritrovavamo sempre negli stessi: Da "Gli Ebrei" ("Tavola Calda Da Umberto"), La Pizzeria Da Settimo, il Bar Bellotti. Con quanta levità potessero cominciare le nostre cene, finivano sempre per essere dei piccoli convegni, cui si univano spesso non addetti ai lavori, ma comunque simpatizzanti a vario titolo.
Slavich era compiaciuto da questa popolarità, anche se soffriva di una certa paranoia nei confronti delle "spie della polizia", che poi era una e, tra l'altro, conosciutissima. Litigare con lui era un privilegio perchè le sue disistime erano silenziose e liquidatorie. Io gli volevo bene e lo stimavo moltissimo. Aveva un grande ascendente su di me e toccai il cielo con un dito una volta che dopo un'accesa discussione proprio sul suo (e mio) pupillo, Nicola, mi buttò fuori dal suo studio urlandomi di fare le valige e tornare a far danno al paesello. Arezzo, suppongo...
Slavich aveva all'epoca poco più di quarant'anni, un bel viso intelligente sul quale spiccava in modo curioso un paio di lenti dalla montatura spessa, vistosamente inclinato rispetto all'asse degli occhi e del naso. Era , quello, il risultato dell'unico ceffone della sua carriera datogli da una giovane degente il primo giorno che Slavich aveva messo piede nell'Ospedale Psichiatrico di Ferrara. La ragazza, che poi avrebbe fatto parte dei Gruppi, si era vista sequestrare, tempo prima, i propri occhiali da una dei primari a causa di certi eccessi d'esuberanza giudicati pericolosi. Tanto era stato il suo disappunto che aveva pensato bene di rivalersi su quello sconosciuto privilegiato. E lui, da parte sua, decise di tenersi gli occhiali storti; per non dimenticare.
Ho ripensato spesso agli occhiali di Slavich, e di quando ebbi a dirgli di essermene messa un paio nell'anima, durante il periodo di volontariato nel manicomio. Avevo fatto domanda quasi subito per poter essere impiegata per tre ore circa di mattina , la domanda era stata accolta, ma avevo dovuto aspettare qualche tempo per potermi organizzare tenendo conto degli orari dei ragazzi. Nel frattempo avevo chiesto ad uno degli infermieri che avevo conosciuto al sindacato, di accompagnarmi a fare un giro, una volta che fosse stato libero. Del palazzo di via della Ghiara conoscevo solo la biblioteca, bella e importante, ma non mi ero mai addentrata nei reparti; per l'esattezza, non mi ero mai addentrata in nessun reparto di nessun Ospedale Psichiatrico. Mario dunque mi accompagnò e quando, alla fine del giro, uscii dal portone, giurai su quello che avevo di più caro di non mettere mai più piede finanche nel quartiere della città, di qualsiasi città , dove vi si trovasse un manicomio.