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Sulla sentenza che condanna i tecnici della Commissione Grandi Rischi

25-10-2012 / Punti di vista

di Rossella Zadro *

Sono piene di commenti le pagine dei giornali, dopo la sentenza che condanna i tecnici della Commissione Grandi Rischi per non aver saputo preannunciare la scossa di terremoto che ha distrutto l’Aquila. Sembra che i colpevoli di ciò che è successo a l’Aquila siano loro e la loro incapacità di prevedere. Ricordo che a luglio quando gli stessi misero in guardia i territori dell’Emilia, Mantova, Rovigo annunciando un’ulteriore probabile terremoto, che poi non avvenne, regnò una indignazione diffusa per l’allarmismo che si venne a creare. Un al lupo al lupo senza riscontro reale. È quella di questi giorni una sentenza che fa discutere e che inquieta, per le ripercussioni che può avere sulla ricerca, sulla scienza, sull’evoluzione delle conoscenze, sulle responsabilità vere e su chi le deve assumere e ne deve conseguentemente rispondere.

Mi limito ad esporre altre considerazioni. La scienza ha bisogno di indagare e di essere libera; la scienza per sua natura è neutrale, la tecnologia che può generarsi dalla scienza e a supporto della scienza stessa dovrebbe esserlo. Una al servizio dell’altra e viceversa. Al servizio anche della politica che le deve usare per le scelte che è tenuta a compiere. Scienza e tecnologie sono necessarie all’innovazione ed all’evolvere della conoscenza e delle applicazioni della conoscenza. Dico ciò perché il tema importante che si pone è come evitare catastrofi. Come la scienza, senza diventare alchimia o veggenza possa essere un efficace strumento nelle mani di chi è tenuto, ognuno per il ruolo che riveste, ad adottare decisioni. Ci hanno spiegato in questi mesi in cui il nostro territorio è stato colpito dal terremoto, che difficilmente (impossibile) possono essere previsti gli eventi sismici. Le conseguenze di una scossa di terremoto sono direttamente proporzionali all’intensità del sisma ed alla capacità di tenuta del costruito abitativo, produttivo, infrastrutturale. Più il costruito è vulnerabile, più i danni saranno importanti. Se la possibilità di prevedere oggi è ancora lontana, quello che invece si dovrebbe fare sta nel procedere nella conoscenza dettagliata del sottosuolo e delle sue caratteristiche. E nel costruire in sicurezza. Come già succede in Giappone, Antille, ecc. Paesi sismici preparati ad affrontare questo tipo di calamità naturale. Anche lì gli scienziati probabilmente si stanno misurando con la possibilità di trovare il modo per prevedere i terremoti ma, nel frattempo, si è affrontato il problema agendo su un altro versante. Quello della sicurezza delle costruzioni e del territorio. Invece che cercare i colpevoli dovremmo procedere investendo in ricerca ed innovazione dei materiali e delle tecnologie del costruire; imparare ad applicare la multidisciplinarietà degli studi e dell’agire.

Guardare al miglioramento delle infrastrutture destinate al consolidamento ed alla sicurezza del territorio. E richiamare la politica affinché non si adottino rimozioni strumentali di conoscenze già acquisite, ma si operi in nome della sicurezza e del miglioramento dell’ambiente e di chi lo abita. Questa criticità può diventare veicolo di nuove conoscenze, competenze, innovazione, lavoro e qualità del Paese. Se ci dovessero indicare che una violenta scossa di terremoto può colpire il bacino padano tra il 2012 ed il 2013, che l’area potrebbe essere individuata tra X e Y territorio, che la magnitudo potrebbe oscillare tra X ed Y gradi, quali azioni dovremmo mettere in campo? Evacuare tutto il territorio ed attendere? Meglio essere preparati avendo scelto la sicurezza. La scienza faccia la sua parte, i tecnici pure, la politica anche.

* Assessore comunale all'Ambiente