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L'importanza della cultura linguistica europea

13-11-2012 / A parer mio

di Paola Gnani *

Cinquantacinque anni fa, il 25 marzo 1957, fu firmato a Roma il Trattato con cui veniva istituita la Comunità Economica Europea. Il documento sanciva la nascita del senso forte dell'europeismo e apriva la strada a un percorso che doveva portare alla costruzione di una "casa comune" europea. Quell'aspirazione sembra vivere oggi una condizione di offuscamento. La difficoltà nasce dalla condizione d'incertezza che stiamo vivendo, generata da una serie di eventi che si verificano non soltanto a livello europeo, ma mondiale.
Gli europei reagiscono a questa situazione con una serie di atteggiamenti che si polarizzano su due posizioni: da un lato abbiamo istituzioni e singoli individui che continuano a manifestare un profondo impegno nella costruzione di un'Europa coesa, dall'altro vi sono molti che manifestano perplessità, quando non addirittura scetticismo, riguardo al possibile successo della costruzione di un'Unione Europea degna di questo nome.
Il secondo atteggiamento è quello su cui vorrei focalizzare maggiormente l'attenzione per cercare di enucleare le cause principali di questo euro-scetticismo. Innanzi tutto non posso non evidenziare che molti europei - giovani e non più giovani - manifestano una conoscenza limitata dell'Europa, non solo delle sue radici storiche, geografiche, politiche e culturali, ma anche delle sue caratteristiche economiche e istituzionali, sia quelle legate all'attualità, sia quelle connesse a prospettive future. Oggi, oltre mezzo secolo dopo il Trattato di Roma, molti europei vedono l'Europa non tanto come un organismo vivo, attivo e produttivo, quanto piuttosto come un'entità teorica che impone "parametri" e regole cui devono adeguarsi e obbedire. L'adeguamento avviene spesso senza un'effettiva comprensione del motivo delle regole, che, di conseguenza, vengono considerate un obbligo, guardate con scetticismo e applicate controvoglia. L'Europa è recepita come un qualcosa di astratto, lontano e indeterminato, che acquisisce profilo e significato soltanto fra i politici e gli intellettuali, mentre suscita fra i semplici cittadini scarso interesse e talvolta perfino avversione. Si sviluppano così visioni confuse dell'Europa, soprattutto rispetto a ciò che l'Europa rappresenta e agli obiettivi che è necessario conseguire per realizzare le due grandi sfide che caratterizzano lo scenario socio-politico europeo attuale: il processo d'integrazione europea e l'allargamento a nuovi stati membri.
I sondaggi effettuati dall'Eurobarometro su questi temi assieme all'analisi dei dati concernenti la scarsa partecipazione alle elezioni del parlamento europeo nelle ultime tornate elettorali hanno indotto le istituzioni comunitarie ad avviare una profonda riflessione sulla politica d'informazione dell'Unione Europea. In seguito ai risultati di questa fase di autovalutazione l'Unione Europea ha modificato radicalmente la propria strategia comunicativa per riuscire a coinvolgere più efficacemente tutti gli stati membri. Nelle nazioni che la costituiscono sono state avviate numerose iniziative volte alla promozione della conoscenza dell'Europa considerata presupposto indispensabile per la formazione di una coscienza comune negli europei di oggi e di domani, una coscienza fondata sul concetto di "cittadinanza europea".
Che cosa s'intende esattamente con il termine "cittadinanza europea"? Il concetto è recente e sta evolvendosi fra non poche resistenze. Questo accade perché l'evoluzione del concetto di "cittadinanza europea" ha luogo in una situazione problematica, che presenta indici di difficoltà elevati. Fare una sintesi di questa evoluzione non è semplice. Tenterò, ricorrendo a un paragone con le scienze naturali. Il concetto di "cittadinanza europea" può essere considerato come un materiale incandescente che deve ancora trovare una forma compiuta. Da una parte vorremmo dargliela rapidamente, dall'altra, però, ci rendiamo conto che non è corretto, perché, così facendo, non rispetteremmo la complessità del materiale stesso. La "cittadinanza europea" è un processo in atto, non ancora completato, un processo che dobbiamo valutare attentamente e comprendere fino in fondo per sentirci parte attiva e consapevole in esso.
Quale idea può guidarci in questo percorso di comprensione e costruzione della "cittadinanza europea"? Non certo l'idea di una cittadinanza intesa come appartenenza a una realtà concepita come imitazione allargata di uno stato nazionale. A guidare il nostro pensiero e il nostro comportamento non deve essere il senso di appartenenza, ma il senso di comunanza. Tra appartenenza e comunanza esiste una differenza notevole. L'Europa deve quindi evolversi in una prospettiva che non può e non deve essere quella di una cittadinanza intesa come appartenenza. L'Europa - non dimentichiamolo - è un luogo in cui, nel nome dell'appartenenza, sono state combattute in passato guerre terribili e compiuti crimini mostruosi. Costruire l'Europa del futuro significa percorrere una via completamente diversa. L'evoluzione del concetto di "cittadinanza europea", nel ricordo delle tragedie del passato, di fronte ai problemi del presente e con la speranza di costruire un futuro migliore, ha due presupposti irrinunciabili: la conoscenza e la condivisione. È necessario, inoltre, pensare all'Europa in una dimensione pluralistica. E il pluralismo cui mi riferisco è un pluralismo di stati, lingue, popoli e individui; è una rete, in cui tutto si deve interconnettere secondo due principi: la libertà e il rispetto reciproco.
Nel processo di promozione e diffusione delle ragioni che sono alla base di un'Europa unita nella libertà e nel rispetto, l'istruzione assume un ruolo d'importanza centrale. I sistemi d'istruzione debbono creare percorsi di apprendimento che sostengano e diffondano l'ideale europeo per formare cittadini attivi e consapevoli, dotati di conoscenze ed esperienze il più possibile ampie e variegate. Solo così sarà possibile dare finalmente una risposta alla richiesta che l'UNESCO ha rivolto nel 1994 a tutti coloro che operano nel mondo della scuola e dell'istruzione: "Le scuole diventino luoghi privilegiati di esercizio della tolleranza, di rispetto dei diritti umani, di pratica della diversità, della ricchezza dell'identità culturale e dell'alterità".
E' evidente, tuttavia, che la scuola non può e non deve essere l'unica istituzione a perseguire questi scopi, né è lecito lasciare agli operatori scolastici l'intero carico formativo dei cittadini. Questo compito che deve essere svolto in collaborazione con le altre istituzioni, con i media, con le associazioni, con cui la scuola deve essere messa in grado di intessere una serie di rapporti. La scuola, in ogni caso, si trova in prima linea nell'elaborazione e nella realizzazione di attività di educazione europea nel senso più ampio del termine. Per riuscire in quest'impresa, la scuola deve elaborare percorsi pedagogici in cui gli allievi siano guidati a identificare le ragioni positive dell'essere uniti nell'Europa di oggi e di domani, per partecipare in modo produttivo e consapevole alla costruzione di una realtà sociale, politica e culturale importante, con radici antiche e prospettive condivise.
Il compito della scuola è delicato ma essenziale. Per questo motivo deve essere rispettato e sostenuto da tutti. Rappresenta, infatti, una risposta concreta a inquietudini e interrogativi di questo nostro mondo così turbato e confuso, un mondo in cui molti tendono a chiudersi sempre più nel proprio guscio, cercando nell'isolamento in ambiti ristretti, nell'indifferenza e nell'ignoranza di problemi ed eventi la principale modalità per configurare la propria esistenza. La scuola, intesa nella sua globalità, assieme alle altre istituzioni del territorio e a tutti coloro che operano nell'ambito della cultura e della formazione, deve fare il possibile per contrastare la passività, il disinteresse, la scarsezza di coinvolgimento nel conseguire obiettivi comuni fondati su valori positivi. La scuola deve, ancora una volta, dare e darsi una scossa, intervenendo con forza all'interno e all'esterno di se stessa.
Come sapete, esiste una serie di programmi d'istruzione e formazione promossi dall'Unione Europea e complementari l'uno all'altro, il cui focus è il "fare esperienza diretta di cittadinanza europea". Il gruppo di programmi ha come finalità il cosiddetto "lifelong learning", l'apprendimento per tutta la durata della vita. Sappiamo che varie scuole del nostro territorio già hanno aderito a questi programmi, altre li stanno realizzando o hanno intenzione di farlo. E questo è un fatto molto importante.
Se andiamo a leggere i documenti riguardanti i programmi europei d'istruzione e formazione, possiamo notare come la collaborazione e la cooperazione fra individui e istituzioni con retroterra diversi siano gli elementi trasversalmente costanti, identificati dall'Unione Europea come gli strumenti più idonei per raggiungere l'obiettivo della "cittadinanza europea".
Il Liceo "Roiti" e il Centro Linguistico che inauguriamo oggi intendono diventare un punto di riferimento per quanto concerne la dimensione europea dell'educazione nel nostro territorio anche in continuità con quanto iniziato nell'inverno scorso attraverso la collaborazione con l'Ufficio Centrale per i Programmi Europei di Firenze, con l'Ufficio Scolastico Regionale dell'Emilia-Romagna, con la Provincia e il Comune di Ferrara, una collaborazione che - ci auguriamo - continui e si approfondisca anche nei prossimi anni.
Per quanto riguarda specificamente la configurazione del Centro, c'è un aspetto che mi preme sottolineare non solo in virtù della mia formazione personale, ma anche in base a numerose esperienze raccolte in anni di lavoro in istituzioni scolastiche e associazioni culturali di questa provincia e in attività di collaborazione con istituzioni di altri paesi europei. Per impostare e consolidare rapporti di cooperazione fra persone e istituzioni in ambito internazionale, dai più semplici ai più complessi, è necessario un presupposto cognitivo senza il quale molto dell'impegno che può essere profuso nella costruzione di progetti legati all'Europa rischia di essere gettato al vento. Senza questo presupposto, infatti, perdono la loro valenza molte delle intenzioni indicate come obiettivi fondamentali dei percorsi formativi che ho menzionato. Probabilmente qualcuno lo avrà già intuito: si tratta della conoscenza delle lingue. In effetti, se si vuole approfondire sul serio la conoscenza reciproca fra individui e istituzioni, bisogna superare innanzi tutto le barriere linguistiche. L'Unione Europea non ha una superficie particolarmente estesa, ma è costituita da un numero elevato di nazioni, comunità e gruppi linguistici. Nello spazio comune, che s'intende costruire, è necessario riuscire a comprendersi bene e questo può e deve avvenire in primis attraverso il linguaggio. Altrettanto importante è mantenere e salvaguardare le identità e le diversità, in quanto fonte di enorme ricchezza sia sul piano culturale, sia sul piano umano. Ed è' proprio qui che entra in campo la conoscenza di più lingue. Imparare nuove lingue incoraggia all'apertura verso gli altri, alla comprensione di nuove culture e tradizioni, ma soprattutto educa al rispetto e alla tolleranza. È un atteggiamento indispensabile in un mondo, come il nostro, che appare minacciato ancora una volta dal razzismo e dalla xenofobia. L'apprendimento delle lingue deve essere, di conseguenza, al centro dell'interesse e dell'impegno di tutte le istituzioni e di tutti coloro che contribuiscono all'azione formativa: in primo luogo i responsabili dei sistemi educativi a livello centrale e periferico, ma anche i dirigenti e i docenti delle singole scuole.
Vorrei ricordare, a questo punto, l'obiettivo fissato dalla Commissione Europea il 24 luglio 2004 in merito all'insegnamento/apprendimento delle lingue straniere. L'obiettivo riprende quanto richiesto dalla Comunità Europea ai ministri della Cultura e dell'Istruzione degli stati membri già all'inizio degli anni '90: "Si richiede ai sistemi d'istruzione dei paesi membri dell'Unione l'insegnamento generalizzato di almeno due lingue straniere fin dai primi anni di vita, in modo che ogni cittadino possa comunicare in queste due lingue." Questo obiettivo può sembrare ambizioso, ma la Commissione Europea è ben consapevole che il plurilinguismo è un'opportunità che non può non essere colta. Negli ultimi anni l'Italia ha aderito solo in parte alle richieste provenienti dall'Europa rispetto a questa problematica, anzi in alcuni casi ha perfino ridotto le ore destinate allo studio delle lingue straniere, soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado.
Quando si parla dell'apprendimento di più lingue straniere, ci si trova spesso a rispondere a questa obiezione: perché mai si devono imparare almeno due lingue oltre alla propria? Non è sufficiente imparare una lingua diffusa, una "lingua franca"? Per rispondere a questa domanda, è necessario analizzare gli aspetti fondamentali del rapporto fra lingua e cultura. Se si vuole arrivare una comprensione reciproca e conoscere veramente un'altra cultura è necessario dialogare nella lingua del luogo di cui questa cultura è espressione. Se l'unica lingua straniera che s'impara è una lingua franca (ad esempio l'inglese) questo nesso varrà soltanto per i paesi anglofoni, ma non per gli altri. Inoltre, una lingua franca non permette di far fronte a tutte le situazioni. Per sentirsi a proprio agio in una società straniera non anglofona, sia nella vita di tutti i giorni, sia in occasioni di lavoro o di studio, è essenziale - e comunque è più produttivo - comunicare nella lingua del paese in cui ci si trova.
La soluzione indicata dall'Unione Europea, "lingua materna + due lingue straniere", incontra spesso anche una seconda forma di resistenza: si teme che sia un percorso di apprendimento troppo impegnativo. Tutti coloro che conoscono più lingue, invece, sanno che è vero il contrario. Una volta appresa una prima lingua straniera, imparare la seconda è più semplice, la terza è ancora più facile, e così di seguito. La ragione di questo sta nella particolarità che caratterizza l'apprendimento di una lingua straniera. Imparare una lingua straniera richiede, infatti, tecniche di assimilazione diverse da quelle utilizzate per materie come la storia, la matematica o la biologia. Per imparare la prima lingua è necessario acquisire queste tecniche. Per la seconda, invece, le tecniche di apprendimento sono già state acquisite e l'assimilazione diventa quindi più agevole.
Un altro elemento a favore del plurilinguismo è il fenomeno che i linguisti definiscono: "comprensione plurilingue". La maggior parte delle lingue parlate in Europa deriva da ceppi comuni. Di conseguenza, quando si apprende una lingua straniera, si riesce ad accedere molto più facilmente alla comprensione di altre lingue appartenenti alla stessa famiglia.
E' opportuno, inoltre, chiarire che cosa si intenda esattamente quando si afferma che bisognerebbe riuscire a "parlare" più lingue straniere. Ci si deve immaginare una generazione di europei trilingui, o addirittura quadrilingui? Non proprio. L'obiettivo "lingua materna + due lingue straniere" è tutt'altra cosa. È compiere ogni sforzo possibile affinché gli europei siano capaci di comunicare con successo - ossia di capire e farsi capire - nella maggior parte delle situazioni comunicative della vita quotidiana per acquisire, in una seconda e più progredita fase di apprendimento, competenze linguistiche di livello più elevato che li rendano in grado di muoversi agevolmente in settori di specializzazione professionale o di studio a livello accademico. Teniamo presente che l'Unione Europea, dopo la creazione del primo "Programma Lingua" all'inizio degli anni ‘90 non ha mai smesso di incoraggiare la politica del plurilinguismo. Il fine ultimo dell'azione comunitaria a favore del plurilinguismo è conseguire l'obiettivo strategico stabilito dai Capi di Stato e di Governo e dalla Commissione Europea a Lisbona, il 23-24 marzo 2000, e confermato costantemente per tutto il decennio successivo: "L'Europa deve diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale".
A questo punto è lecito domandarsi chi si trovi, di fatto, nella condizione maggiormente favorevole per apprendere più lingue. Oltre a coloro che vivono in realtà sociali bilingui - ma si tratta comunque di una minoranza - sono i giovani a trovarsi in una posizione potenzialmente migliore. La scuola resta, infatti, il principale periodo di apprendimento nel corso della vita. Il principale, ma non l'unico. L'acquisizione di nuove lingue è possibile in qualsiasi periodo della vita, purché esista una solida motivazione. La motivazione è imprescindibile, a ogni età. La motivazione è un propellente straordinario, che permette di superare tutti gli ostacoli anche quando non si è più giovani.
E' in questa prospettiva che vanno considerati non solo i programmi dell'Unione Europea, ma anche i percorsi e le attività che caratterizzeranno questo Centro Linguistico. Tutto quello che verrà proposto e organizzato sarà orientato ad offrire un contributo di crescita e ampliamento dell'orizzonte linguistico e culturale con l'auspicio di costruire, nell'ambito del dato e del possibile, un futuro diverso e migliore, in cui si cerchi soprattutto ciò che unisce e che accomuna, in cui la conoscenza dell'altro e del suo mondo sia il presupposto di una convivenza civile, in cui la diversità sia vista come forma di arricchimento sul piano individuale e collettivo.
Questo è la base di partenza, l'humus, su cui articoleremo le proposte culturali che caratterizzeranno questo centro linguistico. Le attività si articoleranno su tre livelli:
1. Educazione linguistica: si organizzeranno corsi di lingue straniere a forte diffusione europea rivolti a giovani e adulti che intendano apprendere o ri-prendere lo studio di una o più lingue straniere;
2. Corsi di formazione e aggiornamento: i destinatari di questi corsi saranno docenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado;
3.Conferenze, seminari, workshop aperti al mondo della scuola e alla cittadinanza su temi di respiro internazionale in ambito letterario, artistico, musicale, sociologico e filosofico.
Affinché i progetti che nascono da questo Centro raggiungano risultati significativi e costituiscano momenti importanti non solo per chi sarà impegnato come allievo, ma anche per chi opererà come docente o sul versante organizzativo, è necessario che vi sia una diffusione di informazioni da una scuola all'altra, dalla scuola alle istituzioni, dai media ai cittadini e che le attività siano conosciute e condivise anche da chi non le vive in prima persona, perché la spinta e l'energia che derivano da una rete di rapporti sono preziose e costituiscono un valore aggiunto nella costruzione di un patrimonio comune che arricchisca e qualifichi concretamente la nostra collettività.

* - coordinatrice Centro Linguistico provinciale, docente del Liceo Roiti di Ferrara