Una madre è come Il pane di casa
12-05-2013 / A parer mio
di M. Cristina Nascosi Sandri
Una madre è come Il pane di casa, una lirica struggente di Don Umberto Pasini
(a cura di Maria Cristina Nascosi Sandri)
Se uno di voi sarà più dolce con sua madre, una sera, per causa mia e di mia madre, non avrò scritto invano.
La frase in incipit, una delle tante e pregnanti che lo costellano e lo informano, fa parte de Il Libro di mia Madre di Albert Cohen, scrittore ebreo ed intellettuale immenso che ebbe il coraggio di pubblicare il testo solo 11 anni dopo la scomparsa della madre, un lutto elaborato a fatica, forse mai metabolizzato del tutto, divenuto un canto d'amore nel tentativo di sottrarla all'oblìo, di fissarla in immagini struggenti e dolci che ne restituissero la semplicità, l'ingenuità e le piccole quotidiane debolezze, la dedizione alla famiglia ma, soprattutto, l'amore per l'unico figlio: un amore totale, assoluto, come è quello di ogni madre. Un amore che i figli sanno comprendere pienamente solo quando le madri non sono più.
Più sereno e rasserenante, ad un tempo, il ricordo invece che Don Umberto Pasini, grande figura di mèntore, docente e sacerdote portuense scomparso da tempo, dedicò alla propria madre, una lirica delicata transustanziata, se si passa il neologismo, in un simbolo da sempre parte della nostra cultura cristiana e cristologica, il pane. Buono come il pane fatto in casa, si diceva una volta, facendo riferimento ad un cibo, ad una leccornia o, più metaforicamente, ad una persona dotata di particolari qualità, umanamente parlando: e cosa c'è di più buono di una madre, di ciò che una madre 'fa' per il figlio nel corso della sua esistenza?.
E in fondo, ellitticamente, anche la madre cui è dedicata la poesia che segue è, al di sopra di ogni religione o fede una madre a tutto tondo, una yiddishe mame come quella di Albert Cohen che per il figlio sarebbe morta...
Il pane di casa
Mi lasciavi, mamma,
quando il mattino
m'era compagno
dei sogni.
Nel buio della stanza
s'ingigantivano i fantasmi
per turbarmi il sonno,
ma la tua voce
di sotto, accanto al fuoco,
mi riscaldava
- lo sai -
dolcemente.
Ogni tuo gesto
che indovinavo nel buio
mi amava
di tenere carezze.
Il babbo - una volta
almeno ricordo
che c'era -
condivideva quell'alba
ancor troppo lontana.
Un rito di lievito
ed acqua,
un'intimità coniugale
più arcana,
consumata sul desco
in cucina.
Era come per generarmi
un'altra volta
che le vostre mani
si congiungevano
in silenzio
a gramolare un impasto
che poi diventasse
il pane.
Ancora lo avverto,
adesso ch'è tardi,
spezzandolo,
il dolce profumo
di buono
che allora inondava
il mattino
levandosi
caldo il forno
come una carezza
di sole.
Mi sazia
quella fragranza
di albe
conservata dai giorni
lontani
Ed oggi che amara
è la mia solitudine
più forte mi tenta
- nell'ora di cena -
la voglia di bimbo.
Mangiamolo insieme
ancora una volta
- in piedi tu, madre,
e babbo al suo posto -
quel pane di casa.