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Giornata nazionale dei dialetti: venerdì 17 gennaio "Pr'an dsmangàr d'arcurdàr"

16-01-2020 / A parer mio

di Maria Cristina Nascosi

Il 17 gennaio di ogni anno siamo tutti invitati a riscoprire, grazie ai Dialetti, il cuore delle nostre tradizioni culturali, territoriali, linguistiche, un evento, insomma, di valore enorme, a tutto tondo, per la sensibilità ed umanità così peculiari, per le basi fondanti di noi Italiani.
E due anni fa tutto ciò fu intelligentemente ed umilmente anticipato - una cifra stilistica e contenutistica, spesso, propria delle Sue corde, Lui non a caso spesso ‘osteggiato' - da Papa Francesco, quando il giorno dopo l'Epifania, dichiarò: "Tocca a voi genitori trasmettere la fede. Ma la fede si trasmette, prima di tutto, in dialetto, in famiglia, quello che si usa fra papà e mamma, fra nonno e nonna".
Ed era un giorno molto particolare perché le parole del non a caso neolatino e teneramente ed ingenuamente ormai bi-idiomatico Papa Francesco aveva appena battezzato - come poi quest'anno - più di una trentina di bimbi, nuove creature volte ad una nuova vita, appena iniziata, un auspicio bellissimo.
E venerdì 17 gennaio 2020 il calendario della grande tradizione del nostro Paese, festeggia Sant'Antonio, Sant'Antòni dal busghìn, del maiale, del porcello, ovvero Sant'Antonio Abate, una delle feste della cultura, della tradizione popolare e della civiltà contadina Ferraresi che fan parte anche di tutto il territorio Italiano, per vocazione, quindi non a caso scelto per ricordare il meglio delle nostre radici, la nostra lingua di latte - come la definiva il Foscolo, ma anche il sofisticato filosofo Wittgenstein - quella dialettale, il 'sermo familiaris'.
Così, proprio "Pr'an dsmangàr d'arcurdàr" (per non dimenticare di ricordare), quasi vent'anni fa era nato ArPaDia, l'Archivio Padano dei Dialetti del Comune di Ferrara dalla cui costola - metaforicamente - era stato emanato un fil rouge che informò di questo principio una collana letteraria, "Cóm a dzcurévan/Come parlavamo", curata da chi scrive, che nell'ambito della pubblicazione di circa 15 volumi, più altri fuori collana, trasmise e tramandò la cultura e la civiltà dialettali delle più grandi autrici e autori del nostro territorio, tra cui piace ricordare Liana Medici Pagnanelli, Graziella Vezzelli, Alfredo Pitteri, Bruno Pasini, Corrado Celada, Luigi Vincenzi, Francesco Pantaleoni, Muzio Chiarini, Alfio Finetti, Giorgio A.Finchi, Alfonso Ferraguti, per non citarne che pochissimi.
Alfonso  Ferraguti era nato e vissuto a Marrara, in provincia di Ferrara, nel 1912.
Contemporaneo di Michelangelo Antonioni, e deceduto la vigilia di Natale del 1980, fu un ottimo agronomo - innamorato di Ferrara, del suo essere terragno, della sua lingua dialettale che furon il suo destino, a tutto tondo - e seppe fondere la sua professione con la sua base culturale classica greco-latina.
La breve poesia riportata, infatti, ricorda molto lo stile dei neoteroi greci, l'equivalente dei poetae novi latini come Gaio Valerio Catullo che con il suo Carme 85, Odi et amo, splendido distico elegiaco formato di due soli versi, riuscì a esprimere una amore davvero universale, seppur diverso, come quello espresso da Ferraguti per la figura della Donna per eccellenza, la Madre.
- Mié màdar
Una candela ad zzìra banadéta
brusà tuta par nu.
- Mia madre
Una candela di cera benedetta
bruciata tutta per noi

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