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Giorno della Memoria 2021, il contribuito del Prefetto di Ferrara Michele Campanaro

27-01-2021 / A parer mio

Ferrara, 27 gennaio 2021

Oggi il mio primo pensiero va ai superstiti dei campi di sterminio e ai loro familiari. Li voglio ringraziare per l'instancabile opera di testimonianza come missione di vita, soprattutto nei confronti dei più giovani, facendo conoscere le loro storie e trasmettendoci una grande lezione di umanità e di rifiuto dell'odio.

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche varcarono i cancelli di Auschwitz e si rivelò al mondo l'orrore del genocidio nazista. Quel campo di concentramento e di sterminio è assurto a macabro simbolo del minuzioso sistema di annientamento dell'essere umano, spogliato di ogni dignità di persona e ridotto a sola materia.

Questa data è stata individuata come simbolo per istituire, in Italia e nel mondo, il Giorno della Memoria, per non dimenticare l'atroce sterminio del popolo ebraico ad opera del regime nazista e dei suoi alleati e per ricordare non solo coloro che furono deportati, ma anche quelli che si opposero alla ferocia nazifascista a rischio della propria vita, salvando altre vite e proteggendo i perseguitati.

La città di Ferrara dedica da sempre alla memoria della Shoah grande attenzione e partecipazione e anche quest'anno, nonostante la terribile pandemia che sta sconvolgendo il mondo intero, siamo qui a ricordare lo sterminio degli ebrei e di tutti coloro che furono perseguitati dai nazisti.

All'interno del Comitato provinciale che ho l'onore di presiedere, abbiamo deciso di dedicare le iniziative di quest'anno alle giovani generazioni, colpite profondamente insieme con gli anziani dalla pandemia. Ai giovani la senatrice a vita Liliana Segre ha passato il testimone di custodi della memoria. Ricordo sempre con grande emozione la presenza della senatrice qui tra noi a gennaio di due anni fa: con voce limpida, la sua testimonianza ha trasmesso a tutti il senso del coraggio, della vita, della necessità del dialogo tra diversi, della solidarietà e della pace. Tornata dai campi della morte, ha testimoniato il dovere doloroso della memoria senza mai risparmiarsi, fino all'ultima uscita pubblica ad ottobre 2020, quando ha comunicato la decisione di passare il testimone ai più giovani.

Raccogliamolo tutti insieme, giovani e meno giovani, istituzioni e cittadini, questo testimone così importante e prezioso, impegniamoci a far prevalere l'umanità su tutto e rifiutiamo ogni forma di odio.

Il nazismo ha scatenato una guerra, per desiderio di conquista e di dominio, che ha provocato cinquantacinque milioni di morti, esaltando gli animi tedeschi e degli alleati con la scellerata concezione di superiorità razziale. Il regime nazista ha cancellato la vita di quasi sei milioni di donne, uomini, bambini soltanto perché ebrei: furono fucilati, fatti morire di fame o sterminati nei camion e nelle camere a gas, bruciati nei forni o nelle fosse comuni. Oltre agli ebrei anche dissidenti politici, rom, sinti, omosessuali, testimoni di Geova, malati di mente e disabili sparirono senza nemmeno il diritto al nome e al ricordo.

Non dobbiamo dimenticare l'abisso che si è spalancato sotto l'umanità intera quando la diversità, la tolleranza, l'accettazione, il dialogo furono oscurati dalla nebbia dell'ideologia e dell'odio razziale, esaltati da una potente, quanto becera macchina della propaganda, messa in moto a tutti i livelli per fabbricare minacce improbabili e nemici inesistenti.

In Italia, alleata della Germania in guerra e in questo folle e perverso disegno, la vergogna delle leggi razziali ha negato agli ebrei il diritto all'istruzione, al lavoro, alla proprietà, alla casa, alla cittadinanza. Ha portato a negare gli affetti, separando e distruggendo intere famiglie.

Pochi giorni fa si è sottoposto alla vaccinazione per il Covid-19 Sami Modiano, sopravvissuto all'orrore di Auschwitz-Birkenau e testimone attivo della memoria, come Liliana Segre. Nel 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali fasciste, il piccolo Sami frequentava la terza elementare nell'isola di Rodi, allora territorio italiano, dove ebrei, cristiani e musulmani convivevano pacificamente. Sami, essendo ebreo, si trovò improvvisamente espulso dalla sua scuola. Lui stesso ricorda così quella terribile esperienza: «Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo.»

Le truppe tedesche invasero Rodi e il 23 luglio 1944 prelevarono con l'inganno tutti gli ebrei presenti sull'isola, senza che nessuno potesse sfuggire, imbarcandoli nella stiva di un vecchio mercantile, fino al Pireo ove vennero caricati nel buio soffocante dei vagoni piombati, diretti verso il campo nazista di Birkenau. Appena arrivati nel campo, gli uomini vennero separati dalle donne e Modiano, allora quattordicenne, rimase con suo padre. Nei mesi successivi Sami perse la sorella Lucia e anche lo stesso padre che, appresa la morte della figlia, si consegnò volontariamente in infermeria ben sapendo quale fine gli venisse riservata.

Nel 1945, quando i sovietici erano a poche decine di chilometri dal campo, i tedeschi presero i superstiti e da Birkenau camminarono verso Auschwitz. Durante la marcia, Modiano si accasciò a terra senza forze, abbandonando le speranze; fu sollevato da sconosciuti compagni di sventura che lo lasciarono su un cumulo di cadaveri per mimetizzarlo. Al suo risveglio, vide una casa in lontananza e vi si trascinò; lì trovò altri superstiti del campo, fra cui Primo Levi e l'amico Piero Terracina. Il giorno dopo arrivarono i soldati russi, era il 27 gennaio del 1945.

Ha ricordato Sami Modiano: «Io ero adesso un uomo libero, ma in me non c'è stato nemmeno un secondo di allegria. Io mi sono sentito subito colpevole, un privilegiato». Dei 776 bambini ebrei italiani di età inferiore ai 14 anni, deportati nei campi di concentramento, Sami è tra i 25 sopravvissuti.

Non possiamo consegnare oggi, nelle mani dei loro familiari, le medaglie d'onore che il Presidente della Repubblica ha concesso quest'anno a dieci cittadini di Argenta, Bondeno, Cento, Ferrara e Tresignana: Aldo Andalò, Francesco Calzolari, Aldo Camaggi, Giacomo Cremonini, Eros Faraguti, Renato Donato Logli, Mauro Masciarelli, Amilcare Ricci, Amedeo Scaramagli e Mario Zarattini, militari e civili, che furono internati nei lager nazisti e destinati al lavoro forzato. Non possiamo farlo a causa della pandemia, ma lo faremo presto, ne sono convinto.

Ed allora, desidero ricordare che pochi giorni prima di Sami Modiano è stato vaccinato anche Basilio Pompei, un signore di 103 anni, ex internato militare italiano, deportato dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e per due anni prigioniero in un campo polacco. Basilio è uno dei 650.000 militari italiani, deportati nei campi tedeschi perché dopo l'8 settembre si rifiutarono di servire Hitler. Un'altra pagina di storia colma di sofferenza e di coraggio. Posti dinanzi alla scelta fra una dura prigionia e l'adesione al nazifascismo, questi coraggiosi servitori di una Patria che li aveva lasciati senza direttive in balia del nemico, preferirono la fedeltà alle istituzioni e rivendicarono la loro dignità di uomini con una tenace resistenza al nazifascismo.

Oggi non ci deve lasciare indifferenti che nonno Basilio, come lo chiamano affettuosamente nella casa di riposo dove vive, sia diventato il bersaglio di commenti odiosi che corrono sul web e sui social. Quello pandemico non è l'unico virus che gira per il mondo. Il virus dell'odio continua a contagiare la nostra società, anche per l'uso velenoso che si fa dei social.

Non a caso, il Presidente Sergio Mattarella ha ammonito che «Il virus della discriminazione, dell'odio, della sopraffazione, del razzismo non è confinato in una isolata dimensione storica, ma attiene strettamente ai comportamenti dell'uomo».

Pensiamo all'uso, ormai divenuto comune, del termine "negazionismo". Coniato per indicare coloro che non credono alla Shoah, viene ora utilizzato anche per chi nega la pericolosità del Covid-19 e l'esistenza di una pandemia mondiale, disconoscendo persino il numero dei morti e degli ospedalizzati.

Il mio sommesso invito è di rispondere con la conoscenza, nella consapevolezza che informarsi e sapere può essere anche doloroso e angosciante. Andiamo ad Auschwitz e a Birkenau, seguiamo la ferrovia che passa sotto l'arco dell'entrata, fermiamoci dove cominciavano le baracche infinite, alle spalle le rovine delle camere a gas, con la mente trafitta da un unico pensiero: questo è l'inferno.

Non-sapere può essere consolante, negare e rifiutare è comodo. I negazionisti negano per non entrare in crisi e per proteggersi dalla verità.

Devono farci riflettere allo stesso modo le immagini che hanno fatto il giro del mondo all'inizio di quest'anno: la folla che fa irruzione, travolgendo poliziotti e barriere di protezione, a Capitol Hill, il Congresso americano, considerato il tempio della democrazia moderna. Tra i manifestanti c'era chi sogna un'America di nuovo grande, ma non solo. Davanti alle telecamere e agli obiettivi dei fotografi ha sfilato una massa composita, a tratti folklorisitca e a tratti inquietante, con divise fatte di maglie mimetiche, giubbetti antiproiettile e armi in pugno. Tra loro anche neonazisti: un uomo indossava una maglietta con le scritte "Camp Auschwitz" e "work brings freedom", cioè il lavoro rende liberi, l'equivalente di "Arbeit macht frei" incisa all'ingresso dei campi di concentramento nazisti.

Lo ripeto sempre e desidero ricordarlo anche oggi: il nostro vaccino contro questo tipo di virus diverso, ma ugualmente letale è nella Costituzione Repubblicana, nata dal riscatto della Resistenza e dalla vittoria sul nazifascismo. La nostra Costituzione segna una divisione netta tra umanità e barbarie, con il riconoscimento di eguali diritti e dignità ad ogni persona, per una convivenza pacifica tra i popoli e gli Stati. Dobbiamo scolpire in profondità il principio costituzionalmente inderogabile che ogni uomo è depositario di eguali e inviolabili diritti e che nessuno può essere discriminato a causa del sesso, della razza, della religione, del ceto sociale.

La pandemia ha scavato solchi profondi nelle nostre vite, nella nostra società. Ha acuito fragilità del passato. Ha aggravato vecchie diseguaglianze e ne ha generate di nuove. Oltre alle tangibili e pesanti conseguenze sociali ed economiche, si avverte un generale senso di smarrimento e di incertezza che pone in discussione intere prospettive di vita.

In questo quadro difficile, possono trovare terreno fertile rigurgiti di autoritarismo, di antisemitismo, di negazionismi, di indifferenza rispetto ai diritti della persona. E' fondamentale saldarci tutti insieme intorno allo spirito autentico della nostra Repubblica, che quest'anno compie settantacinque anni, affrontando la realtà e mettendoci coraggiosamente in gioco, per noi stessi e per le giovani generazioni.

La fiducia di cui abbiamo bisogno si costruisce tenendo connesse le responsabilità delle istituzioni con i sentimenti delle persone. Ricerchiamo la memoria e la consapevolezza della nostra identità di uomini tra le radici della nostra Costituzione per costruire il futuro.

Nel suo ultimo dibattito pubblico Liliana Segre ci ha ricordato che la vita spesso porta a scegliere odio e indifferenza dettati dalla paura, ma che la vita e la compassione sono scelte di coraggio, che tutti noi dobbiamo compiere: «In quello scorrere del tempo grigio di morte, io ho pensato persino di uccidere, ma è in quel momento che ho scelto davvero la vita. Sono diventata libera, la donna di pace con cui ho potuto convivere fino ad oggi».

A differenza del Covid-19, il virus dell'indifferenza non è sconosciuto ed imprevedibile. Se le permettiamo di conquistare le nostre menti, l'indifferenza è un male tra i peggiori e la disumanità si farà sempre più strada. Un sistema infernale ha potuto distruggere milioni di vite umane innocenti nel cuore della civiltà europea, anche perché, accanto al pilastro dell'odio, era cresciuto quello dell'indifferenza.

Antidoto all'indifferenza, nel chiudere queste riflessioni voglio ricordare la tragica pagina del ghetto di Terezin, vicino Praga, che fu il maggiore campo di concentramento cecoslovacco, costruito come campo di passaggio per tutti gli ebrei del cosiddetto "Protettorato di Boemia e Moravia", istituito dopo l'occupazione nazista della Cecoslovacchia, prima della deportazione nei campi di sterminio dei territori orientali.

A Terezin c'erano 15.000 bambini, compresi i neonati: i più grandi avevano un'età tra i dodici e i sedici anni. Dopo la guerra tornarono in meno di cento e, di questi, nessuno aveva meno di quattordici anni; figli di ebrei cecoslovacchi, deportati a Terezin insieme ai genitori, molti provenivano da orfanatrofi, un flusso continuo fin dagli inizi dell'esistenza del ghetto. La maggior parte morì nel 1944 nelle camere a gas di Auschwitz.

Del loro passaggio a Terezin è rimasta una commovente testimonianza, rappresentata da alcune migliaia di disegni e qualche decina di poesie. In questo luogo di terrore e disperazione, i bambini furono aiutati dagli adulti, anche artisti, scrittori e studiosi del tempo, a sopravvivere dignitosamente: studiavano, dipingevano, facevano teatro, musica e scrivevano poesie. Dai documenti, che sono stati nascosti e salvati dalla furia nazista, traspare una maturità di pensiero straordinariamente precoce, la straziante consapevolezza di un destino inesorabile e, soprattutto, il disperato, insopprimibile anelito alla vita delle giovani vittime.

Tra questi versi struggenti e dolcissimi, una poesia scritta nel 1941: non si conosce il nome di chi l'ha scritta, ma è un inno alla bellezza della vita contro la banalità dell'indifferenza. L'autore si identifica nell'uccello che vola libero nell'aria e si indirizza ai suoi compagni, paurosi di lasciare il nido.

Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza

quando cammini tra la natura

per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi:

anche se le lacrime ti cadono lungo la strada,

vedrai che è bello vivere.

Michele Campanaro

Presidente del Comitato provinciale 27 gennaio

Prefetto di Ferrara