Comune di Ferrara

venerdì, 29 marzo 2024.

Dove sei: Homepage > Lista notizie > Intervento sulla Giornata internazionale delle Donne, 8 marzo 2021

Intervento sulla Giornata internazionale delle Donne, 8 marzo 2021

09-03-2021 / Punti di vista

di Ilaria Baraldi 

Consigliera comunale Gruppo Pd

La giornata internazionale della donna, con la quale si ricordano le conquiste dei diritti e i diritti ancora da conquistare, è l'occasione per prendere consapevolezza delle urgenze ed emergenze sociali che riguardano la metà della popolazione mondiale e più della metà della popolazione italiana.

Deve servire ad accendere la luce sulle contraddizioni strutturali di un intero sistema.

Non è e non può essere una festa, nel senso che non possiamo accettare l'ipocrisia di un giorno nel quale ci vengono fatti gli auguri senza che sia matura la coscienza del significato di una giornata come l'8 marzo, il cui senso originale andrebbe recuperato. L'8 marzo non parla di vittime, al contrario parla di protagoniste, di quelle donne che dall'inizio del Novecento sono state attive nel descrivere uno squilibrio, una disparità, e nell'indicare una direzione di marcia per la conquista dei diritti.

Aiuta ricordare le date di alcune di quelle conquiste, in Italia, così recenti e per nulla scontate: è solo nel '63 che il matrimonio cessa di essere causa di licenziamento; nel '63 le donne sono ammesse in magistratura; è del '68 la cancellazione del reato di adulterio, che naturalmente riguardava solo le donne; è del '77 la legge sulla parità di trattamento tra donne e uomini nel lavoro e nel '91 serve una legge per definire le azioni positive per realizzare la parità.

Ma che all'uguaglianza sostanziale corrispondano nella realtà disparità sociali ed economiche è una evidenza incontrovertibile e drammatica.

Che il 70% dei posti di lavoro persi dall'inizio della pandemia sia femminile, è un dato.

Che le donne percepiscano stipendi inferiori a quelli degli uomini a parità di ruolo e in tutti i lavori, da quelli dirigenziali a quelli operai, è un dato.

Che periodicamente si debba riconfermare il diritto all'autodeterminazione della donna, e che questa sia minacciata nonostante le leggi esistenti, è un dato, basti pensare alla impossibilità per le donne di alcune regioni di Italia di fare ricorso alla IVG a causa dell'esorbitante numero di obiettori di coscienza, il che pone un ulteriore drammatico problema di disparità tra donne a seconda della regione in cui vivono, anche questo è un dato.

Chiedere che questi dati cambino, non è una rivendicazione ostile. Non è una competizione tra i generi.

E' una sfida che riguarda tutti e tutte.

Chi non tiene all'aria che respiriamo? All'acqua che beviamo? Al cibo di cui ci nutriamo? Aria, acqua e cibo sono elementi che attengono alla sopravvivenza nostra e garantiscono un futuro alle prossime generazioni. Quale aria, quale e quanta acqua, quale cibo dipende dalle nostre scelte, quotidiane e di prospettiva.

Allo stesso modo dobbiamo occuparci di come per metà della popolazione sia più difficile entrare, resistere e restare nel mondo del lavoro, di come su quella metà gravi maggiormente la cura delle famiglie, degli anziani, dei malati, di come il corpo di metà della popolazione venga sottratto alla sua assoluta e unica disponibilità per diventare oggetto di discussione pubblica, o peggio, di proprietà altrui.

Accanto ad una transizione ecologica abbiamo bisogno di una transizione femminista: il genere non è un settore ma uno strumento di analisi e intervento, sono gli occhi coi quali esaminiamo e interpretiamo la realtà, coi quali vediamo le singole ingiustizie e privazioni delle donne.

A chi interessa che siano le donne a stare a casa senza congedo quando le scuole sono chiuse?

A chi interessa che 99.000 posti di lavoro persi a dicembre siano di donne, contro i 2000 di uomini?

A chi interessa che il lavoro domestico non sia riconosciuto ai fini del calcolo del pil?

Possibile che tutto ciò interessi solo le donne?

No. Non è possibile. Non è possibile perché questo squilibrio penalizza noi donne in primis, ma è un freno per lo sviluppo sano di tutta la società.

Occorre essere donna per capire che oggi, la società, è costruita dagli uomini secondo il punto di vista degli uomini, per gli uomini?

I manichini per i crash test fino a pochi anni fa erano manichini con sembianze maschili.

Fino a pochissimi anni fa non si parlava neppure di medicina di genere, come se le differenze non contassero, ma sempre a discapito delle donne.

Gli assorbenti femminili sono tassati come beni di lusso e non come beni di prima necessità, eppure la questione dovrebbe riguardare l'economia dell'intero nucleo familiare.

Il corpo della donna viene scansionato, dettagliato, giudicato, sessualizzato e colpevolizzato, in qualsiasi circostanza e contesto pubblico: deve essere conforme ad un modello che risponda ad un gusto maschile, che sia bello o meno bello viene anteposto a qualsiasi altra caratteristica, viene usato per colpirla, accusarla, relegarla. Che sia body shaming o revenge porn o violenza psicologica o insulti sui social media, il corpo della donna ancora oggi viene usato contro di lei o contro la sua volontà.

Potrei continuare, ma vi pare che questo NON sia un mondo fatto a immagine e somiglianza degli uomini?

Lo è, ed è una questione culturale così radicata che i diretti interessati e moltissime dirette interessate non percepiscono lo squilibrio e la disparità o, peggio, quand'anche lo percepiscano, lo credono naturale, tanto è solida l'architettura degli stereotipi.

Non può essere frutto del caso se le contraddizioni di un sistema maschile (non lo definisco maschilista appositamente, per togliergli qui l'accezione volontaria, nella speranza che serva ad alcuni uomini per guardare con maggiore lucidità ai fatti, senza sentirsi attaccati) esplodono durante crisi come la pandemia ed esplodono a danno maggiore delle donne, precarie, sottopagate, le prime a perdere il lavoro, sulle quali ricade il lavoro domestico e la cura.

È evidente che si tratta di un cortocircuito.

Chi lo mette a fuoco, in tutta la sua ingiustizia, non può che diventare femminista.

Il femminismo non è un locale esclusivo con la selezione all'ingresso. E' anzitutto un percorso di consapevolezza che per poter diventare collettivo deve prima essere individuale.

Chi ha ruoli pubblici e di rappresentanza non può evitarla, questa consapevolezza, perché dal ruolo che le donne hanno e avranno ANCHE in politica dipendono le scelte che determineranno l'assetto sociale dei prossimi decenni.

Ecco perché è così importante che più donne si interessino alla politica, ne facciano parte, la arricchiscano e ne definiscano le scelte: una democrazia in cui una parte significativa della popolazione resta esclusa dal processo politico istituzionale e dai luoghi delle decisioni è una democrazia incompiuta, che non dà voce ai bisogni e alle esigenze delle donne e si priva del loro talento.

Ecco perché sono importanti i bilanci di genere, che, al pari dei bilanci economici e di sostenibilità ambientale definiscono l'impatto delle politiche sulla vita delle persone, ed ecco perché è importante che le risorse economiche messe in campo dall'Unione europea per la ricostruzione del paese vengano pianificate e investite secondo una prospettiva di genere.
Quindi, grazie del pensiero, ma non ce ne facciamo niente delle mimose se non si rivede l'intero sistema INSIEME alle donne per modificarlo e renderlo più giusto.

Non è la guerra dei sessi che ci interessa, non ambiamo al potere fine a se stesso, e non è nemmeno la competizione che vogliamo. È per questo che vogliamo essere chiamate consigliera, assessora, avvocata, ingegnera, imprenditrice, direttrice.

Perché non è il potere che ci interessa, non è il ruolo giocato dagli uomini che vogliamo.

Quello che vogliamo è la redistribuzione di quel potere, al quale partecipare, in cooperazione, declinato al femminile.