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La Società della Ragione: riflessioni e dialoghi sul tema del “fine pena mai”

11-11-2022 / A parer mio

Martedì 8 Novembre 2022, nella storica sala dell'Oratorio di San Crispino, si è svolta la presentazione del ciclo di conferenze "La Società della Ragione": ad ogni appuntamento corrisponde una tematica, e per ogni tematica è previsto un testo di riferimento raccontato e spiegato dagli autori e dai relatori.

"Contro gli ergastoli" è stato il primo libro che ha dato il via al ciclo, introducendo il pubblico ad una tematica tanto delicata quanto attuale della legittimità del "fine pena mai" previsto dalla legge 97/2001 della nostra Costituzione.

Un libro traboccante di ragione, se così si può dire, che espone la storia delle idee contro l'ergastolo attraverso le armi dell'interpretazione giuridica e della sensibilità costituzionale, corredata da un' ampia appendice composta da discorsi e considerazioni delle più illustri cariche che hanno fatto la Storia d'Italia: dal giurista e politico Aldo Moro a Papa Francesco, dal filosofo Aldo Masullo al magistrato e parlamentare Salvatore Senese.

Per leggere questo libro, volendo, è possibile partire proprio dall'appendice che arriva dritta al cuore del lettore, e procedere a ritroso, verso la parte iniziale, che parla alla ragione, dove sono esposti  raffinati e contemporanei contributi degli autori Stefano Anastasia, Franco Corleone, e Andrea Pugiotto.

"Un altro consiglio di lettura - spiega Stefania Carnevale, professoressa associata del Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Ferrara, Delegata alla gestione delle relazioni con l'Amministrazione penitenziaria e con la Conferenza Nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari Penitenziari - è quello di soffermarsi sulla descrizione delle condizioni in cui riversano gli ergastolani, sforzandosi, per quanto possibile, di immaginarla, di sentirla sotto la propria pelle.
Perché non si tratta solo di visualizzare ambienti scuri, degradanti, sovente sovraffollati, ma anche di percepire le sensazioni di freddo glaciale del periodo invernale e di caldo soffocante del periodo estivo, di mancanza di cibo per la prima colazione, delle forti restrizioni dei pochi pasti concessi e  dell'impossibilità di cucinare autonomamente quello che si desidera, di osservare quotidianamente le grate di tutte le finestre che compongono le celle conducendo progressivamente alla cecità, delle docce condivise con altre cinquanta persone spesso senza acqua calda, del divieto di avere conversazioni con persone dell'altro sesso (fatto salvo che non si tratti di familiari in visita o di operatori del carcere). Poi, naturalmente, la sessualità negata, l'inevitabile spegnersi delle relazioni con i congiunti e gli amici, poiché dopo un elevato numero di anni in carcere, tutto si sfilaccia, dissipandosi. E poi le angherie, le provocazioni reciproche, e dulcis in fundo, l'autonomia negata: i carcerati non possono fare nulla di propria iniziativa, possono solo chiedere, supplicare, affidandosi costantemente ad altri. Mai più possono decidere per loro stessi. Mai più.
Se il lettore riuscisse a proiettare questa condizione per un giorno, due giorni, tre giorni, dieci giorni, un anno, due anni, cinque anni, dieci anni fino a tutta la vita, fino al mai, fino alla morte, forse si potrebbe rendere conto dell'enormità del problema dell'ergastolo. Un problema di vita o di morte".

"L'obiezione che spesso viene fatta - prosegue Carnevale - umanissima ma, forse, fin troppo semplicistica, è che si tratta di una condizione meritevole per chi ha commesso, per esempio, reati di omicidio, uccidendo vittime innocenti che mai più torneranno in vita.
Questo giustifica l'ergastolo inflitto, la sofferenza perpetua, l'agonia di uomo divenuto prigioniero fino alla fine dei suoi giorni".

"Va reso noto però che molto spesso le vittime degli ergastolani attualmente in carcere non sono, a loro volta, vittime innocenti come è luogo comune credere, bensì appartenenti a loro volta ad altre organizzazioni criminali, soprattutto per quanto riguarda i casi di ergastolani ostativi - specifica Pasquale Longobucco, avvocato penalista - ma anche se si dovesse trattare di casi con vittime innocenti, rispondere alla morte con una lunghissima "non- vita", "non- esistenza", seguita poi dalla morte in carcere come reclusi, deve far pensare. Lo Stato non può agire, per contro, come un criminale, non può agire con la stessa "logica", con la stessa ferocia, costringendo un essere umano ad una vita di sofferenza, di rabbia, di non- senso, sino alla fine dei suoi giorni, tant'è vero che la Corte europea di Strasburgo, nel giugno 2019, ha condannato il governo italiano al pagamento di sei mila euro più spese legali per Marcello Viola, finito all'ergastolo negli anni '90 per associazione mafiosa, omicidi e rapimenti. Il Tribunale ha inflitto a Viola l'ergastolo ostativo (e isolamento diurno) che non offre al condannato alcun tipo di beneficio o premio, nonostante vi fossero molti rapporti che ne evidenziavano la buona condotta e i cambiamenti positivi nel comportamento. Secondo la Corte di Strasburgo, privare un uomo della possibilità di riabilitarsi e della speranza di un futuro reinserimento nella società viola l'articolo 3 (divieto di tortura e di trattamenti disumani e degradanti) e 8 (diritto alla vita familiare e alla vita privata) della Convenzione europea per i diritti umani, definendo la pena di ergastolo ostativo come 'una tortura e un trattamento inumano e degradante' ".

Prendendo brevemente in esame anche la funzione della Corte Costituzionale del nostro Paese e la sua giurisprudenza in merito alla pluralità di funzioni della pena, la Corte ha sempre dichiarato legittima la pena dell'ergastolo comune, quello commesso per fatti di sangue al di fuori dall'appartenenza ad organizzazioni criminali, mafiose, terroristiche, e la possibilità di re- integro in società superati i ventisei anni di reclusione.

"Ecco, le parole spese per mantenerlo in essere sono troppo semplici, quasi ingannatorie - critica Stefania Carnevale -  "l'ergastolo serve per dissuadere dal commettere reati in difesa della sicurezza della società". Non è mai stata dimostrata la capacità dissuasiva di pene esemplari, anzi, gli unici studi di comunità condotti sulla pena di morte hanno evidenziato che le pene severe non sono in grado di persuadere, non agiscono efficacemente come controspinta; mentre l'assunto di "difesa della sicurezza della società", tenendo come riferimento il tema centrale del libro, porta ad evidenziare che gli ergastolani, dopo venti o trent'anni di reclusione, sono divenuti anziani, fragili, molto spesso malati, sicuramente sperduti rispetto ad un nuovo ingresso in società lasciata molti anni prima, considerando l'idea che siano un pericolo come inefficace e fallace".

Resta sicuramente convincente, sulla base della retribuzione, l'argomentazione che l'ergastolo è appagante. Essendo applicato a soggetti che hanno commesso reati gravi, fatti di sangue, tenerli in carcere a determinate condizioni è appagante. E allora, su questo appagamento, si fonda la vera origine e il vero senso di mantenimento della pena.

"E su una serie di semplificazioni e mistificazioni si fondano anche le argomentazioni che reggono la validità dell'ergastolo ostativo - concludono i relatori Carnevale, Longobucco e Stefano Pugiotto, autore e docente di Diritto Costituzionale al Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Ferrara - in primis, la presunzione invincibile, assoluta, insuscettibile di prova contraria, di persistente appartenenza ai sodalizi criminali per chi non collabora con la giustizia. E' anche questa una semplificazione, una adulterazione della realtà, poiché non è tenuto conto del percorso riabilitativo e rieducativo durante il periodo detentivo del carcerato, il quale non è detto che sia ancora intimamente e convintamente affiliato ad una organizzazione criminale: è una presunzione di legge fondata su una astrazione che ignora palesemente la possibile evoluzione di pensiero, magari anche scaturita dal percorso terapeutico psicologico e di successivo pentimento. L' ergastolo ostativo, nato con la legge "Gozzini" del 1986, ha come finalità quella di stimolare pesantemente la collaborazione con la Giustizia per debellare le organizzazioni criminali attraverso informazioni utili. Però, in un paese civile e democratico, le parole non si possono coattare. E' per questo che, nel corso degli anni, si sono susseguiti escamotage per mantenerlo operativo: il primo, quello del "chi collabora sarà rieducato" è stato debellato dopo un anno dalla stessa Corte Costituzionale, ritenendo la collaborazione a scopo utilitaristico, egoistico e strategico; mentre la "mancata collaborazione significa persistente affiliazione da parte del soggetto" è la presunzione che ha giustificato sino ad oggi l'esistenza della pena".
Ma, non in tutti i casi è così: "è doveroso ed opportuno - concordano i relatori - analizzare ogni singolo caso e la Legge, per sua intrinseca natura, deve guidare proprio in questa operazione, senza essere d'intralcio all'operazione di vaglio effettivo, privo di tendenziosità".

"La libertà non è fine a sé stessa: essa è autentica solo quando viene posta al servizio della verità" - Sandro Pertini

[Articolo di Elena Zattoni - Master Design della Comunicazione Unife]

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