La segnalazione: "Variate iterazioni" di Carla Baroni
12-06-2006 / A parer mio
di Giuseppe Muscardini
Un poemetto. Con che coraggio ci si può accostare, oggi, ad un genere così desueto? Eppure, quando si insiste nella lettura, quando si forzano le nostre legittime reticenze, si scopre che il volume di Carla Baroni contiene più stimoli e più evocazioni di quante ne possa offrire oggi un moderno romanzo "alla Brizzi" o "alla Busi".
Carla Baroni è a Ferrara più o meno da sempre, da quando, giovanissima, vi si trasferì. La sua formazione è ferrarese, e piace pensare che nel corso dei suoi studi abbia subìto influssi tasseschi e foscoliani, per cimentarsi così felicemente nell'epica amorosa. Un'epica, la sua, in cui lo struggimento rinnova speranze e volontà di comprendere il mondo dei sentimenti. Immagini poetiche raffinate e uso puntuale della metrica si contaminano vicendevolmente, inducendo il lettore attento a trarre inevitabili conclusioni: per chi vi si accosta con animo non prevenuto, il poemetto è ancora un genere idoneo a fornirci validi stimoli nel corso delle nostre più spontanee, ragionate o nostalgiche investigazioni. Non è forse lo stesso Foscolo, davanti all'idea del trapasso, a dimostrarci con i Sepolcri come il poemetto si presti alle umane indagini? E non è la cifra della scrittura, diremo noi, a dare all'indagine di Carla Baroni valenze peculiari e più estese di quanto non appaia ad una primissima lettura, proprio in virtù di un genere che si stima superato come un poemetto? Si leggano i passi dove si fanno inconfondibili i molti rimandi ai temi universali della nostra tradizione letteraria: l'amore lontano, l'amore che non c'è (e che prima c'era), la personificazione di qualcuno o qualcosa che non si nomina, la dovuta discrezione, il rigoroso anonimato dell'assente, il sogno al quale si aderisce per una vita intera, il riconoscimento foscoliano, e pertrarchesco insieme, di una debolezza dell'animo umano di fronte alla presunta intransigenza dei sentimenti, ripresa nei celebri versi di quei due grandi con la nota citazione del Vedo il meglio, ma al peggior m'appiglio...
Si leggano, dunque, i poemetti. E si legga questo poemetto. Ne nasceranno nuove persuasioni sui modi espressivi - spesso incomprensibili e contorti - adottati dalla nostra incerta e zoppicante contemporaneità per sondare il reale. Si chiedeva giustamente Eugenio Riccomini nel corso della recente presentazione del volume di Pamela Volpi sulla Famiglia Riminaldi: siamo sicuri che il nuovo, il moderno, sia sempre sinonimo di bene e di evoluto? Nell'attesa di una risposta che certamente tarderà a venire, meglio consolarsi con queste iterazioni, di cui il lemma ripetizioni è sinonimo. Ma più che variate, oserei dire argute.
CARLA BARONI, Variate iterazioni, Foggia, Bastogi, 2006