La segnalazione: "Fede e bellezza" di Niccolò Tommaseo
05-06-2006 / A parer mio
di Giuseppe Muscardini
L'educatrice d'asilo nido ha i capelli lunghi e lisci. Ha superato i quarant'anni, ma non li dimostra. La mantiene giovane il suo lavoro, svolto senza troppo entusiasmo e "che in fondo le piace". Appartiene a quelle nature non facili al turbamento, appagate dalle piccole cose di ogni giorno, purché si svolgano con la stessa invariabile sequenza. Per questo non si cura troppo della sua ascendenza illustre. Non ne parla neppure volentieri. Eppure discende dal grande dalmata, dall'autore di Fede e bellezza, da quel Niccolò Tommaseo che compilò il primo Dizionario dei sinonimi e dei contrari, e che insieme a Daniele Manin resse nel 1848 la Repubblica di Venezia, meritando l'innalzamento di statue di marmo nelle piazze d'Italia.
Il legame tra il suo illustre avo e Ferrara non si sostanzia nell'immeritata parentela, nella presenza in città di una diluita "appendice" del dalmata, quanto piuttosto in un preciso riferimento letterario contenuto nel celebre racconto Due baci, giudicato dagli studiosi e dai filologi come una delle migliori novelle in prosa del primo Ottocento, forse addirittura la migliore. Due baci fu pubblicato nel 1831 nell'«Indicatore» di Milano, poi riedito nello stesso anno in opuscolo e successivamente rivisto dal Tommaseo, che tre anni dopo lo inserì con altro titolo nell'opera Dell'educazione. Neppure quest'opera, pur in consonanza con la sua professione, potrebbe scuotere l'educatrice e indurla a prendere in seria considerazione la sua ascendenza. Il legame del Tommaseo con Ferrara sta in una scritta stampigliata a chiare lettere nell'indice dell'edizione del 1834: Ferrara, settembre 1831, a significare che il luogo e la data furono volutamente inseriti per sottolineare la fine della stesura del racconto, ma non la sua elaborazione. Date ed eventi collimano: tra il settembre e l'ottobre del 1831, il letterato dalmata sostò a Ferrara, dopo aver toccato Trieste e Venezia. In una lettera del 19 ottobre 1831 indirizzata all'amico Marinovich, riferiva di essersi occupato durante quel viaggio di una narrazioncella intitolata Due baci. C'è da chiedersi se l'educatrice di asilo nido abbia anche solo sfogliato una biografia del suo avo, e se sia al corrente di un altro preciso riferimento a Ferrara contenuto in Fede e bellezza, il romanzo più noto. A Ferrara Tommaseo non incontra lo stesso struggimento che trova nel pistoiese, come luogo dell'anima dove si avverte il pulsare della poesia che addolcisce e sopisce ogni malumore. Qui l'impatto è diverso: della città estense gli resta quella percezione del silenzio e della quiete registrata da altri illustri visitatori. Ferrara mi piace, città serena e solinga, dirà rassegnata Matilde, protagonista femminile di Fede e bellezza, dove l'espressione solinga viene associata alla necessità di calarsi in una solitudine amata e tranquilla, per raccogliersi attorno ai propri ricordi lontani e ancor vivi. La conclusione non può essere che una sola, dettata da spirito risorgimentale ed esalata da Matilde in un sospiro: Son pur liete le città della povera Italia!
Da ferraresi cerchiamone oggi le ragioni, sfogliando la bella edizione curata da Paolo Nardon per la collana dei Classici Italiani Otto-Novecento, uscita di recente dai torchi della Casa Editrice Guerra di Perugia. Ma senza elemosinare inutili conferme dalla discendente del dalmata, che pur vivendo a Ferrara, non ne sa nulla.
N. TOMMASEO, Fede e bellezza, Perugia, Guerra, 2005