La segnalazione: "I cigni di Leonardo" di K. Essex
18-07-2006 / A parer mio
di Giuseppe Muscardini
Ci si auspica una ben diversa querelle di quella scatenata nel mondo cattolico da Dan Brown con il suo Codice da Vinci. Diversi dovrebbero essere i presupposti de I cigni di Leonardo, da poco uscito in libreria. Ancora una volta tutto ruota attorno ad enigmi leonardeschi, terreno divenuto fertile per gli scrittori dell'ultima generazione; ma fertile anche per molti lettori, che si lasciano supinamente sedurre da presunti misteri e dalle improbabili intenzioni di Leonardo di occultare una qualche verità. Tuttavia l'aspetto storiografico rende più credibile questo romanzo, dove Karen Essex si dimostra capace di spostare il gusto della scoperta in ambito estetico e non più mitico-rituale, con incursioni ripetute nella storia dell'arte. Punto nodale del romanzo, come s'intuisce dalla splendida immagine di copertina, è un noto dipinto attribuito a Leonardo da Vinci, avente per soggetto la Leda e il suo intraprendente cigno. Ma sono le sorelle ferraresi Isabella e Beatrice d'Este, le protagoniste del romanzo: l'una è la sposa di Francesco Gonzaga, l'altra di Ludovico il Moro. Due temperamenti, una dissacrante rivalità tra donne, pur consanguinee. A Corte la competizione femminile era una pratica consueta, se si considera che la stessa Isabella d'Este da Mantova faceva pedinare a Ferrara la cognata Lucrezia Borgia per sapere sempre dove di recasse, chi frequentasse, come vestisse e di quali monili amasse servirsi. Le due sorelle, nella storia della Essex, in realtà rivaleggiano per questioni solo apparentemente futili, nella piena consapevolezza che dietro la concezione del bello e dell'arte si nasconda l'idea, più pragmatica che estetica, del potere politico e della sua rappresentazione.
Nell'economia del romanzo quella rivalità femminile è edulcorata nei gesti soavi e ad un tempo maliziosi delle due sorelle durante un'escursione a cavallo nel Borgo del Vado, nel dicembre del 1489. Basterebbe da solo questo decimo capitolo intitolato La Fortuna, a convincere un ferrarese che il romanzo va letto; se non altro per comprendere la ragione per cui le due donne estensi a volte si bamboleggiano nel loro sororale affetto e altre si macerano in sentimenti avversi dettati da insano antagonismo. Ma proprio da questo decimo capitolo, dove ancora non si dipana la soluzione dell'oscuro simbolismo della Leda e il cigno, esce una splendida descrizione di Ferrara che fa pensare agli incanti provati dagli stranieri al loro ingresso in città. È Natale, e benché non vi sia neve sul selciato asciutto delle strade, i cavalli emettono dalle narici nuvole di vapore nell'aria fredda... Nella descrizione della Essex, così come in altre, per un momento viene meno il potere sublimante del mistero che avvolge le opere d'arte. La passeggiata a cavallo delle due sorelle, accompagnate da Francesco Gonzaga in visita alla città, stempera gli iniziali propositi narratologici del romanzo, lasciando ai lettori ferraresi una visione magica del luogo che neppure Marin Snudo, nei suoi celebri Diari, avrebbe saputo evocare commentando l'arrivo di Lucrezia Borgia a Ferrara nel febbraio 1502. Vi è allora nella Essex l'aggiunta di un efficace ingrediente, un'imperante sensualità che nelle intenzioni aderisce - almeno sul piano figurativo - alla nudità di Leda: nelle due sorelle l'autrice fa emergere differenze fisiche e caratteriali durante quella sola cavalcata a tre, nella quale si sostanzia con pagina raffinata il senso della loro malcelata contesa.
K. ESSEX, I cigni di Leonardo, Milano, Bompiani, 2006