La segnalazione: "Romanino. Un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano" a cura di L. Camerlengo
04-09-2006 / A parer mio
di Giuseppe Muscardini
Sull'importanza degli interventi pittorici di Dosso Dossi e del fratello Battista nelle sale del Castello del Buonconsiglio di Trento, siamo stati esaurientemente informati da Andrea Bayer nel 1998 nel Catalogo edito da Ferrara Arte con il titolo di Dosso Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento. Si disse in quell'occasione delle committenze ricevute dai Dossi nel 1531 dal principe-vescovo Bernardo Cles, che giudicò eccellenti i due artisti ferraresi come pittori di paesaggi.
Si ampliano oggi le conoscenze su quella committenza, durata dall'ottobre 1531 alla primavera del 1532, grazie ad una mostra sul Romanino allestita dal 29 luglio al 29 ottobre di quest'anno negli spazi espositivi del Castello del Buonconsiglio, dove si possono facilmente comparare gli interventi dei due Dossi con quelli più massicci ed estesi del pittore bresciano. A prima vista, visitando gli ampi spazi del Castello - che ai tempi del vescovo Bernardo Cles era denominato Palazzo Magno -, tutto sembra parlare del Romanino, del suo antirinascimento, della visione scanzonata della realtà, in spregio a tecniche e correnti diffuse e condivise, dei suoi dissapori con i committenti, del suo temperamento inquieto. Ma nel percorso espositivo ampio spazio è degnamente conquistato dai nostri Dossi, che tra il 1531 e il 1532 qui affrescarono la libreria e altri ambienti di rappresentanza. Sono gli anni in cui a Ferrara l'Ariosto si dedica alla correzione del Furioso in vista dell'edizione definitiva, e se i Dossi a Trento non esprimono alcuna controtendenza, meritando il plauso del vescovo, il Romanino, lavorando al fianco dei due ferraresi, affrescò negli stessi anni la loggia rinascimentale e altri interni seguendo l'ire e i giovenil furori: si leggono chiaramente gli effetti della sua matta creatività nel vento che scompone barba e zazzera di una figura dalla postura michelangiolesca - scelta come logo dell'evento -, così come nel panciuto cavallo imbrigliato da Fetonte campito su sfondo azzurro, o nella posizione irriverente di un putto nudo a cavalcioni fra due travi, compiaciuto di esibire i suoi acerbi attributi virili.
Il vescovo Cles manifestò il proprio malcontento per le pitture e i soggetti del Romanino, adducendo ragioni di decoro. Non così avvenne per l'opera dei due fratelli Dossi, che nella camera del Camin Nero e in quella della Stua de la Famea, lasciarono fregi e ornamenti pittorici per i quali Cles si mostrò visibilmente soddisfatto. Non abbiamo tuttavia testimonianza di rivalità fra Dosso Dossi (cui si riconosce il maggiore impegno, quando invece Battista rifiniva) e Gerolamo Romanino. Gli artisti seguivano percorsi diversi. Anzi, ritornando a Ferrara con catalogo fra le mani, scorrendo i documentati contributi, il visitatore apprenderà che a Trento i Dossi e il Romanino ebbero qualcosa in comune: la celerità di esecuzione dei loro rispettivi cicli pittorici. Alla luce dei recenti studi sull'utilizzo del colore, l'affresco consente di misurare in maniera non approssimativa le ore e i giorni totalizzati da un artista per la realizzazione di un'opera. Ebbene, i cicli pittorici del Romanino e dei Dossi al Castello del Buonconsiglio, paiono essere stati eseguiti in tempi più brevi di quanto all'epoca non avvenisse per altri. Dati nuovi, nuovissimi, che abbandonando ogni idea di competizione campanilistica, lasciano presumere negli artisti assunti dai potenti una plausibile componente economica, accanto a quella squisitamente figurativa. Ma non andò così anche fra Michelangelo e Giulio II?
Romanino. Un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano, a cura di L. Camerlengo, e altri, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2006