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La segnalazione: Favolosi cappelli di Giuliana Berengan

12-03-2007 / A parer mio

di Giuseppe Muscardini

Libro originale, questo di Giuliana Berengan. Libro che mette a pensare, senza per questo avere la pretesa di avventurarci in speculazioni filosofiche o in ragionamenti astrusi ed ontologici. Prima motivazione che induce a pensare è una citazione a pagina nove, alla quale nessuno di noi lettori, prima di aprire questo libro, avrebbe potuto rivolgere le mente: il cappello esiste perché esiste la necessità di preservare, anche solo simbolicamente, la parte più nobile dell'uomo, la testa e quindi il pensiero. Giuliana Berengan opportunamente desume la citazione da un volume a cura di Colonnetti, Sassi e Sigiani dal titolo Cosa ti sei messo in testa, edito nel 1991 dalla milanese Mazzotta. E dire che fino ad ora si credeva che il cappello fosse un presidio contro gli attacchi fastidiosi dell'artrite cervicale!
L'illuminante riflessione riesumata da Giuliana Berengan, pone davvero nella condizione di stare più attenti al valore simbolico dei nostri gesti più ordinari e quotidiani. E se in passato il copricapo aveva una sua dignità, tanto da essere di frequente raffigurato insieme al soggetto principale nei ritratti, era per evidenziare degnamente l'accostamento fra l'uomo e le sue più palesi personificazioni, quasi a favorire l'identificazione dell'individuo attraverso la forma e il colore della stoffa con cui si aveva l'abitudine di conservare e proteggere le idee.
Non è forzata questa supposizione, forse solo un poco azzardata, e meriterebbe un'indagine più approfondita, con adeguati raffronti e chiamando in causa le arti figurative. Ma basta leggere fino il fondo il libro di Giuliana Berengan, percorrere il puntuale e documentato excursus da lei compiuto sull'evolversi della moda e dell'utilizzo del cappello, per comprendere che l'idea non è del tutto peregrina. Trattanto l'argomento apparentemente effimero, l'autrice va anche oltre, e si augura che questo "accessorio" del vestire possa ritrovare una sua valorizzazione nel simbolico linguaggio di tutti i giorni; linguaggio oggi snaturato da un'estetica che si avvale di brutti orpelli in cui il corpo viene brutalmente coinvolto con piercings e tatuaggi. L'estetica, sembra dirci Giuliana Berengan, non si basa sul dolore, anche momentaneo, di un metallo o di un inchiostro che penetra nella carne e fa bella mostra di sé; ma si basa su un indumento che ci si mette o ci si toglie a piacere, che si usa anche per dare un senso ai nostri gesti; o per dimostrare che dietro ai gesti si nasconde una delicatezza, un riguardo, una galanteria. Un uomo che al passaggio di una donna sconosciuta e di qualsiasi età, si toglie il cappello in segno di saluto, oggi sarebbe additato e deriso. Eppure, quanta eleganza, e quanti significati nasconde il gesto! Liberare la testa, magari calva, dal cappello che protegge il pensiero; farsi incuranti delle intemperie per riverire il feminino che passa; aiutare la voluta del braccio, teso nel saluto… E chissà quanti altri.
Insomma, a leggere il libro di Giuliana Berengan, una volta informati sulle abbondanti tipologie di copricapo esistenti, foggia, tessuto, forma, viene voglia di dotarsi un feltro, di un panama, di un berretto frigio, per sfoggiarlo in saluti sperticati a uomini e donne. E se proprio non ci riesce di dominare il prepotente impulso, possiamo seguire il consiglio dell'autrice e visitare a Ravenna la bottega di tale Roberto Manzoni, titolare della storica Cappelleria inglese. Non è spicciola pubblicità quella che anima Giuliana Berengan nel dedicare un intero capitolo al cappellaio ravennate: semmai è il bisogno di arricchire il suo libro di un apparato documentario destinato a chi cerca un riscontro immediato sulla storia, l'uso, il progredire di un "accessorio" per fortuna ancora fabbricato, a salvaguardia del nostro più comune sentir pratico ma anche del vivere civile e del buon gusto.

G. BERENGAN, Favolosi cappelli, Ferrara, Maurizio Tosi Editore, 2007