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La segnalazione: De Chirico a cura di Paolo Baldacci e Gerd Roos

22-05-2007 / A parer mio

di Giuseppe Muscardini

La mostra sul Simbolismo al Palazzo dei Diamanti da oggi sarà disallestita e trasferita alla Galleria d'Arte Moderna di Roma. A breve anche la fortunata esposizione padovana dedicata a Giorgio De Chirico chiuderà i battenti, lasciando vuoti gli spazi di Palazzo Zabarella. Senza leggere il catalogo qui recensito non si può percepire subito, ma c'è un filo rosso che unisce questi due eventi culturali di portata nazionale, giunti alla fase conclusiva. È la stravaganza artistica di Giorgio De Chirico, che incarna meglio di altri la sintesi fra razionale e irrazionale. Attivo a Ferrara tra il 1915 e il 1918, nel periodo precedente a questi anni attraversò lui stesso una feconda fase simbolista, caratterizzata da un noviziato artistico strettamente connesso alla sua personale idea della rappresentazione della realtà. Sono gli anni in cui De Chirico concepisce il reale come una serie di enigmi da sciogliere, di misteri da interpretare. Svelare più che rappresentare, è l'imperativo al quale il giovane obbedisce, avvicinandosi per questo alla pittura Arnold Böcklin e di Max Klinger. Il periodo simbolista coincide del resto anche con la formativa esperienza di De Chirico a Monaco, dove tra il 1906 e il 1909 si trasferisce e dove respira avidamente quanto ancora resta di quella cultura ispirata dal romanticismo tedesco che tanto lo influenzò: a Monaco rafforza la persuasione, squisitamente simbolista, secondo cui anche i miti della contemporaneità, pur pervasi di concretezze e pragmatismi, concorrono all'annullamento del tempo e della storia.
Quando De Chirico giunge a Ferrara è dunque infarcito di teorie ed esperienze che nel 1913 gli consentono di scrivere: Bisogna tacere quando si penetra la profondità di un quadro, quando si gira l'angolo dei suoi muri, e non solo dei suoi muri. Allora la luce e le ombre, le linee e gli angoli cominciano a parlare, e anche la musica si fa intendere, la musica nascosta che non si sente. Ciò che ascolto non ha alcun valore, non esiste altro che quello che i miei occhi vedono aperti e ancora di più chiusi.
Questa frase, fedelmente riportata dai curatori nel bel catalogo della mostra padovana, introduce agevolmente un ferrarese verso quella rappresentazione della nostra città di cui si ha testimonianza "parcellizzata" nelle tele di De Chirico. Si pensi a I saluti dell'amico lontano, olio su tela realizzato nel 1916, conservato a Verona presso la Galleria dello Scudo ed esposto a Padova, dove campeggia la coppia di pane ferrarese insieme ad altri oggetti; o a I pesci Sacri del 1918-1919, appartenente alla Collezione Etro e incredibilmente vicini ai noti soggetti di Filippo de Pisis, con i pesci nell'incarto della spesa adagiato sul tavolo da cucina; o ancora a Il linguaggio del bambino del 1916, oggi a New York nella collezione della Fondazione di Pierre e Gaetana Matisse, con la coppia di pane ferrarese ancora una volta in primo piano.
Certo il discorso sull'impostazione editoriale e scientifica del Catalogo, a giudicare dai qualificati interventi che ci presentano in ordine cronologico le opere e la successione delle fasi pittoriche di De Chirico, non si esaurisce trattando solo dell'iniziale periodo dell'artista. Delle numerose sollecitazioni ricevute in seguito, della Metafisica, del periodo cosiddetto barocco, fino al ritorno della Neometafisica intorno agli anni Sessanta, i due curatori disquisiscono con comprovato rigore nell'utilissimo catalogo. Ma a noi ferraresi piace pensare al giovane De Chirico che vaga in città ora ad occhi chiusi ed ora aperti, perso nelle atmosfere di una Ferrara contrassegnata da un'imperante fisicità, con i suoi commerci, i suoi rumori e i suoi profumi di biscotti secchi, di cui era ghiotto, acquistati nel Ghetto e subito divorati. Una città caratterizzata tuttavia da una latente e contrapposta dimensione onirica, che nella fase simbolista del pittore si impose largamente fino ad assumere espressività precise e riconoscibili in soggetti che osiamo definire "nostri". A cominciare dal Castello fiammeggiante nella piazza deserta e assolata, dove una torre getta ombre inquietanti.

De Chirico, a cura di Paolo Baldacci e Gerd Roos, Venezia, Marsilio, 2007