La segnalazione: Il mare e la sua sponda di Elisabeth Bishop
28-05-2007 / A parer mio
di Giuseppe Muscardini
Una prima e superficiale definizione del contenuto di questo libro potrebbe essere la seguente: due racconti, due brevi storie non troppo coinvolgenti giocate sul piano dell'introspezione, la volontà intenzionale di fuorviare il lettore rispetto a ciò che non è essenza ma forma, un legame labile fra le due storie, pubblicate a distanza di un anno l'una dall'altra su due riviste differenti, rispettivamente nel 1937 e nel 1938. Ma racconti non è il termine esatto, e neppure storie: sul retro di copertina l'autrice è presentata come la «Callas della poesia novecentesca» e «arie in prosa» i due brevi testi raccolti nella collana della Biblioteca minima di Adelphi.
Ad essere sinceri la lettura di queste arie di poche pagine lascia ben poco in chi non ha dimestichezza con la prosa di Elisabeth Bishop, se non l'idea di una contaminazione della personale idea filosofica ed esistenziale dell'autrice all'interno dell'assetto narrativo di cui è capace. E potrebbe bastare, perché, sempre ad essere sinceri, altro non pare di scorgervi. Ma allora da che cosa muove il desiderio di rileggerne le pagine dopo aver deposto sul pavimento l'elegante libretto di Adelphi, che reca in copertina un quadro della stessa Bishop intitolato Cabina con oblò? Forse è il bisogno di approfondire, di capire cosa può aver indotto a scriverli, due racconti così esili e apparentemente poco seducenti. Una risposta accettabile può fornirla l'attenta traduzione della ferrarese Monica Pavani, che rispettando i registri linguistici di Elisabeth Bishop riesce qui a colmare le difficoltà di interpretazione dei messaggi velati di una scrittura altra, lontana dai nostri stilemi come spesso è lontana da noi certa prosa d'avanguardia o sperimentale. Grazie alla traduzione di Monica Pavani, avanzano legittimi dubbi sulla nostra stessa volontà di proseguire nella lettura (continuare o sospendere?), accettando tuttavia di terminare il libro perché sottile, presi più dall'eccellente lavoro di traduzione e dall'abilità di trasmetterci significati linguistici che non dai contenuti racchiusi nei due testi letterari.
Ci si sofferma volentieri sulle pagine di Elisabeth Bishop perché Monica Pavani ne traduce sapientemente le intenzioni narrative. Diversamente avremmo solo due situazioni in cui la narrativa è di pura circostanza: nel primo racconto un individuo senza storia vaga sulla spiaggia a raccattare cartacce con un bastone appuntito, legge quelle carte prima di bruciarle, e si fa così del mondo un'idea soggettiva, secondo regole improbabili tanto in un uomo sobrio quanto in un uomo costantemente alticcio, quale di fatto è durante il giorno e la notte; nel secondo racconto un altro individuo aspira alla prigionia per tediare il lettore con la sua idea della carcerazione, dove convergono concezioni, timori ingiustificati, apprensioni ed altre facezie mentali, prodotte da chi visibilmente non conosce il senso della reclusione e della mancanza di libertà. Merito dunque di Monica Pavani, se ci è data la scelta di proseguire o meno nella lettura di questo libretto, che solo la traduzione rende attraente.
Non avendo sufficienti strumenti critici per una valutazione complessiva dell'opera di Elisabeth Bishop, non si vuole qui banalmente demolire, ma solo rilevare quanto diversi siano gli approcci verso la conoscenza di un autore, e come talvolta la traduzione dei testi, nel bene e nel male, ci avvicini a quell'autore in maniera squisitamente emozionale. Monica Pavani è riuscita a presentarci Elisabeth Bishop in modo emozionale. Nel bene e nel male.
E. BISHOP, Il mare e la sua sponda, traduzione di Monica Pavani, Milano, Adelphi, 2006