La segnalazione: La resina e la ruggine di Lucio Scardino
25-02-2008 / A parer mio
di Giuseppe Muscardini
Non so se possiamo definire "sottile" l'ironia di Lucio Scardino. Forse lui stesso non concorderebbe con questa abusata espressione. Si è più portati a giudicarla come coraggiosamente esplicita, non velata, quella ironia a cui Scardino ricorre per riversare soavità e veleni sulle pagine patinate della sua ultima silloge poetica. E ben vi riesce, sia quando si indigna che quando sfoggia indulgenza. Il trauma semantico al quale tendono i suoi versi è garantito, e il risultato raggiunto. Si è portati altresì a pensare che il lettore ideale de La resina e la ruggine sia quello che conosce personalmente Lucio Scardino, le sue accuse verso le modalità del vivere piccolo-borghese che fanno dei provinciali un oggetto di interesse antropologico. Sembra divertirsi molto, Lucio Scardino, nell'enucleare i nostri vizi, pur consapevole dei suoi e di come Tutto quello che dimentichiamo si rifà vivo nei sogni (pagina 28). Lo si intuisce già dai titoli assegnati ai singoli componimenti. Ne L'empietà di Venere, parafrasando il titolo di un recente volume nel quale chi scrive è chiamato in causa, attacca con manifesta acredine le forme esasperate di quel provinciale protagonismo contro cui spesso si scaglia. Con il sorriso sulle labbra denuncia a pagina 146 la femminilizzazione delle associazioni culturali cittadine, molte delle quali sono rette da valide personalità, mosse da voglia di fare e da passione vera, ma che a suo dire non sanno trattare fra di loro, ingenerando spesso malanimo che non fa bene alla cultura. Salvo poi a rappacificarsi in occasione di una manifestazione culturale dove è previsto il patrocinio comune: Il virus della pacifica colpì le virago, / che caseravano a turno il formaggio della sapienza./
Ma il livore di Lucio Scardino si permuta talvolta anche in consapevolezza ludica dell'esistenza. In Usato garantito (pagina 99) ne dà prova eloquente: È uno stinco di maiale detto da noi il peposo, / dei baicoli della Colussi che acquisteremo nella mesticheria. / Gli alfabeti mnestici nei capoverdiani tonici, / i cerottini nasali pel rigassificatore a 21.000 gigawatt. / Sa giocare bene con le parole: le usa e ne inventa di nuove per imprimere più forza allo scardinopensiero di cui si fa promotore, uscendo puntualmente ogni due anni con un volume di versi. Il lettore ideale, quello che conosce personalmente Lucio Scardino, ne trarrà tutto il giovamento che deriva dalle arguzie poetico-letterarie di chi, lamentando la mancanza di una visione più dilatata delle cose, usa la lingua italiana per sferzare il conservatorismo bieco e irrazionale.
Lungi dal voler puntare in queste righe ad un'analisi critica esaustiva dei versi contenuti in La resina e la ruggine, si rimanda alla circostanziata prefazione di Luca Baldoni dal titolo "Periferie in postmodernariato". Per la poesia di Lucio Scardino. I temi sono trattati dallo studioso fiorentino con l'acume e la perizia di chi è abituato a frequentare la poesia e ben conosce le regole dell'esegesi. La ripartizione in quattro punti del suo ampio saggio, evidenzia il desiderio di esplorare quella profondeur de la surface che da sempre riconosciamo al poeta e storico dell'arte ferrarese. Una primissima idea, seppure imprecisa, ci è suggerita visivamente dalla fotografia dell'autore realizzata da Andrea Samaritani, posta nella pagina che precede la prefazione di Luca Baldoni. Un poco imbronciato, o forse solo perso nei suoi pensieri, Lucio Scardino è ritratto davanti alle file ordinate dei libri di una biblioteca. A guardare con attenzione si notano nel dorso di quei libri le etichette con le segnature della Biblioteca Ariostea. Segno, alla fin fine, dell'integrazione di Lucio Scardino con la città e con le sue istituzioni, o fatto del tutto casuale?