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La segnalazione: Otium. L'arte di vivere nelle domus romane di età imperiale, a cura di Bertelli, Malnati, Montevecchi

11-09-2008 / A parer mio

di Giuseppe Muscardini

A mostra ormai in fase conclusiva, in questi giorni giunge nelle biblioteche - per scambio o acquisto - il catalogo di un piccola ma riuscita mostra, allestita nel complesso di San Domenico della vicina Ravenna. Ne costituisce il logo la nota base figurata del Filosofo e la Musa, marmo datato dagli storici al II secolo d. C. Il reperto, collocato all'inizio del percorso espositivo, ha una sua peculiare connotazione, fotografato e inserito a corredo dei molti articoli apparsi negli ultimi due mesi sulle riviste specializzate, da «Archeologia viva» ad «Art & dossier». Nella raffigurazione del filosofo agé, intento a scrivere su un rotolo sorretto dalla musa servile, si condensa il significato stesso dell'iniziativa ravennate: evidenziare quanta parte avesse nella vita quotidiana di un cittadino romano dei primi secoli dopo Cristo, l'otium come stile di vita, nell'accezione latina del termine. L'otium era contrapposto e nel contempo affiancato a negotium, cioè a quell'attività ordinaria delle pratiche del vivere in funzione sociale, come la frequentazione del Foro e delle Terme. L'otium era invece il raccoglimento interiore, la pratica meditativa in uno spazio discreto e domestico dove coltivare il pensiero e le lettere. Consuetudine, per intenderci, alla quale aderiva il buon Seneca, che nelle Epistulae (X, 83,3) scriveva con serena certezza: Otium sine litteris mors est.
Visivamente il reperto ben spiega il concetto. L'intellettuale è dedito ad un'attività che lo coinvolge visceralmente, così come accade quando l'ispirazione si fa forte diventando creativa. Succede allora che l'ispirazione si personifichi, assumendo le sembianze di una fanciulla pronta a collaborare, anche solo reggendo una tavoletta su cui poggia il materiale scrittorio. Cosa che non avverrebbe nel Foro, in mezzo ad altri o alle Terme, curiosamente inserite nel registro del negotium e non dell'otium, trattandosi di un luogo dove coltivare amicizie e tessere relazioni sociali, e non solo di un ambiente attrezzato dove godere del piacere derivante dallo stato di benessere del corpo.
Resta inteso che altri oggetti sono esposti in mostra per testimoniare l'alternarsi di otium e negotium nella giornata tipo di un romano. Ma questo del Museo Archeologico di Como, a cui il Comitato scientifico della mostra conferisce non poco rilievo, ha in sé la pregnanza figurativa e simbolica dell'oggetto-simbolo, teso ad illustrare compiutamente il concetto secondo cui la società e il pensiero si evolvono e si trasformano, sovvertendo nel tempo regole e abitudini consolidate che tuttavia entrano a pieno titolo nella storia del pensiero e delle idee. E che si rivelano equilibrate ed efficaci se storicamente recuperate. Il reperto è icona della concezione latina dell'esistenza, ed esalta il momento in cui la materialità del vivere si converte in disposizione d'animo alla riflessione, quando si generano versi, meditazioni filosofiche o narrazioni. E in fatto di meditazioni i latini la sapevano lunga, se un anonimo cives si prese la briga di annotare con socratica accettazione che balnea, vina, venus corrumpunt corpora nostra, sed vitam faciunt (i bagni termali, il vino e l'amore corrompono i nostri corpi, ma costituiscono la vita). Con un volo di fantasia ci piace pensare che questa sentenza (appartenente al Corpus inscriptionum latinarum, VI, 15258) l'abbia dettata proprio il filosofo effigiato nella base figurata di Como con l'aiuto prezioso della sua Musa, così come paiono dettate da medesimo stoicismo certe coeve iscrizioni sui cippi funerari conservati del nostro Lapidario Civico.

Carlo Bertelli, Luigi Malnati, Giovanna Montevecchi (a cura di), Otium. L'arte di vivere nelle domus romane di età imperiale, Milano, Skira, 2008