L'ossimoro iraniano
16-11-2006 / Punti di vista
L'Iran è una repubblica islamica. Un'idea difficile da comprendere per chi, come noi, ha alle spalle 300 anni di separazione tra potere politico e credo religioso. E quando, uscendo dall'aereo, la hostess avverte che le passeggere di qualsiasi età sono obbligate a coprirsi i capelli con un fazzoletto e mettersi una giacca lunga, si avverte il sapore sgradevole di una ingerenza privata. Tuttavia l'Iran è una democrazia: i cittadini votano ed esprimono i loro governi nazionali e locali (con alcune limitazioni imposte dai religiosi). Ed è un paese vivace e aperto. Vivace sul piano economico (+ 6% annuo di Pil) e culturale (cinema, narrativa, persino fumetti). Aperto sul piano delle relazioni internazionali. Sembra strano ma, nonostante i visti e i controlli di polizia, molti iraniani studiano in Europa e negli Usa e molti cittadini iraniani vivono a metà tra l'Europa e il loro paese. Si tratta di élite economico culturali, certo, poca cosa su 60 milioni di abitanti. Ma è una sorpresa piacevole incontrare qualcuno di loro, specie per chi (come noi europei) si immagina un paese chiuso, tribale, pastorale, isolato dal resto del mondo. La prima cosa che ti dicono è di non credere all'immagine dell'Iran diffusa in occidente (tanto meno a quella diffusa dagli Usa). Il modello politico e culturale del Governo iraniano, ispirato all'isolamento e all'autarchia, non rappresenta lo spirito di quel popolo. L'Iran si vuole aprire e non chiudere e dietro i chador e le proibizioni coraniche ci sono milioni di ragazzi e ragazze che fanno l'università, portano i jeens e le scarpe da ginnastica e si coprono (le ragazze) con foulard coloratissimi.
Teheran è una metropoli che fa impallidire alcune delle nostre grandi città europee. 10 milioni di abitanti, un diametro urbano di 50 Km, un traffico impressionante di auto e moto (malgrado le superstrade cittadine a 6 corsie), e un inquinamento da polveri e benzene che sembra nebbia. Negozi e bazar dove si trova di tutto: malgrado l'embargo. Dalle antenne paraboliche ai pc, ai telefonini. Migliaia di cellulari sempre in funzione: tenuti al collo sopra il chador e (vedere per credere) usati persino in moschea durante la preghiera. Perché le cattive abitudini non hanno confini.
Gli iraniani sono fieri della loro storia millenaria (come noi, come i greci). La storia della Persia, più antica ancora di quella romana e greca. Hanno un senso della loro patria e della loro bandiera che noi non abbiamo. E sono orgogliosi di una continuità culturale che va da Zoroastro ai poeti del dodicesimo secolo, ai romanzieri di oggi. L'Iran è un paese che si identifica con la propria religione ma non si identifica con il proprio governo. Non più degli americani, dei francesi, dei tedeschi, degli italiani.
E anche le donne, così compresse in pubblico, sono socialmente più rilevanti di quel che appare e sembra contino, nelle loro famiglie, come e più degli uomini.
Certo, è assurdo pensare di comprendere la realtà di un paese o di una città in 5 giorni. Ma 5 giorni bastano per accorgersi di avere un'idea sbagliata su un paese. Un'idea eurocentrica e, alla fin fine, provinciale.
Aprire un dialogo con l'Iran significa rafforzare la sua parte più cosmopolita e moderna. Aggiungere nuove sanzioni politiche ed economiche significa rafforzare la volontà di chiusura e contrapposizione del governo attuale. L'Europa non dovrebbe commettere un errore così grossolano.