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Lettera a un amico libanese

05-06-2008 / Punti di vista

di Gaetano Sateriale

Caro Kiwan, il 2 giugno ho partecipato alla festa della Repubblica che si è tenuta all'Ambasciata d'Italia a Beirut, assieme a molti connazionali e molti libanesi invitati per l'occasione. L'Ambasciatore Checchia ha ringraziato i comandanti italiani dell'Unifil, i volontari della cooperazione internazionale, i religiosi, tutti quelli che lavorano per mantenere la pace e la convivenza in Libano. Domenica a Beirut c'è stata una maratona per la pace organizzata anche dall'Uisp italiana (e da ragazzi di Ferrara) cui hanno partecipato migliaia di persone. Beirut e il Libano sembrano aver rimosso la crisi delle ultime settimane e per i prossimi giorni si attende la costituzione del nuovo Governo Siniora. I bar del centro sono pieni, l'Università americana (fondata nel 1860) è frequentata da migliaia di studenti di tutte le nazionalità, la gente fa il bagno davanti agli Scogli del Piccione, i lavori per la costruzione dei nuovi alberghi si susseguono di giorno e di notte. Tutti sembrano attendere una nuova e piena stagione turistica, nella speranza che la tregua duri e l'economia riprenda. Non tutti sono ottimisti, ma si percepisce dai giornali e dai discorsi dei leader politici che Beirut e il Libano possono sopravvivere solo nella convivenza fra le diverse confessioni religiose del Paese. Ora sembra che la battaglia tra le fazioni sia per ridefinire i pesi politici di ciascuno e non più per sopraffare gli avversari. Speriamo che questo atteggiamento permanga e che gli accordi di Doha tengano. Speriamo che le grandi potenze arabe ed occidentali smettano di giocare sui destini di questo martoriato Paese. A proposito, ti ho fotografato un manifesto affisso in un bar del centro che proponeva un nuovo gusto di gelato intitolato alla "Riconciliazione".
Lascia che ti dica che il Libano è veramente un paese magnifico, per storia e cultura, per paesaggi, per clima. Domenica, in un'ora siamo passati dal mare di Beirut alle cime innevate della catena del Libano, per poi scendere nella valle della Bekàa piena di vigne e coltivazioni di ortaggi. Visitando i templi di Giove e di Bacco a Baàlbeck (Heliopoli) ci si rende conto di come la nostra Pompei fosse davvero una cittadina della provincia romana e la rocca di Byblos dà ancora l'idea di quanto importante fosse il commercio del papiro e il nuovo alfabeto: tanto importante che il nome della città fenicia era tutt'uno con la parola greca per libro. I 4000 anni di storia di questa terra (crocevia tra Egitto, Ittiti, Grecia e Mesopotamia) fanno sentire molto giovani l'impero di Roma e Bisanzio. E le crociate sembrano guerre di ieri.
Ma Beirut vive pienamente nella contemporaneità. Basterebbe contare il numero di Suv guidati da ragazze eleganti che parlano al cellulare (molti più che a Milano o a Londra), o i centri commerciali con prodotti firmati, o le migliaia di locali notturni, per accorgersene. Il dramma è però sempre visibile e presente dietro l'angolo, si direbbe. Le autoblindo e i soldati fermi agli incroci, i muri di cinta e l'intrico di fili elettrici dei campi palestinesi o il degrado di un quartiere periferico sciita fanno capire che le contraddizioni covano irrisolte sotto la bonomia delle persone e quel po' di fatalismo che fanno il carattere dei mediterranei. I palazzi distrutti dalla bomba che ha ucciso tre anni fa Rafiq Hariri sono ancora lì, a poche centinaia di metri dal mare e dal locale hollywoodiano dove si tengono i banchetti nuziali delle famiglie più facoltose.
Non c'è bisogno che sia io a dirti quanto forte sia la cultura dell'ospitalità della gente. Per non parlare dell'eccellente cucina libanese, tra le migliori al mondo. Viene davvero voglia di ritornare.
Baàlbeck e Byblos sono siti patrimonio Unesco da prima di Ferrara. Sarebbe bello pensare a qualche forma di collaborazione e interscambio.
Un caro saluto.