Idee e proposte per il nuovo Piano casa
26-03-2009 / Punti di vista
di Raffaele Atti*
La scelta del Governo di accantonare il Piano casa conferma la fondatezza delle critiche che erano state avanzate e per le quali ci si era meritati l'accusa di essere prigionieri di vecchie ideologie e addirittura portatori di culture antagoniste (peraltro a quanto pare largamente condivise).
Ora si apre una fase di confronto tra Governo e Regioni (costituzionalmente titolari della materia) e sarebbero auspicabili due risultati: che il futuro provvedimento escludesse ogni deroga ai piani urbanistici vigenti, rispettando le competenze proprie dei Comuni, e che si introducessero effettive semplificazioni procedurali.
Su questo punto vale la pena sottolineare l'importanza del provvedimento di variante al regolamento edilizio del Comune di Ferrara all'esame delle Circoscrizioni e che potrebbe essere approvato dal Consiglio Comunale prima della conclusione del suo mandato. Questa variante prevede l'estensione dell'area degli interventi liberi, per i quali non sarebbe quindi più previsto il titolo edilizio, e l'estensione della Dichiarazione di Inizio Attività a tutti gli interventi edilizi ai quali non sia associata la realizzazione di opere di urbanizzazione o che siano connessi a pratiche di sportello unico delle attività produttive per i quali la DIA rappresenta di fatto un allungamento di 30 giorni dell'iter.
Pur prevedendo in ogni caso l'obbligo del parere preventivo della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio (da rilasciarsi entro 30 giorni) per tutti gli interventi che modifichino l'estetica degli edifici e il rapporto con il contesto, i tempi medi per acquisire il titolo edilizio si dimezzerebbero.
Si tratta del massimo di semplificazione procedurale possibile a legislazione vigente.
A ciò si accompagnerebbe un immediato adeguamento ai nuovi requisiti energetico ambientali richiesti dalla direttiva provinciale, permettendo di accelerare la transizione verso una maggior sostenibilità del ciclo edilizio, trasformando la fase di bassa attività in cui siamo collocati in una opportunità per il necessario adeguamento professionale degli operatori e delle imprese.
Ma nel rapporto tra Stato e Regioni si può davvero tentare di produrre una forte semplificazione, modificando la legislazione nazionale, cercando di rispondere comunque a queste esigenze di tutela degli interessi collettivi:
- Una valutazione preventiva dell'esito dell'intervento sul paesaggio in tutti i contesti,
- La possibilità di verificare in corso d'opera la rispondenza ai requisiti dichiarati,
- La conformità del risultato finale della trasformazione del territorio alle norme urbanistiche ed edilizie,
- La certificazione dei requisiti prestazionali dell'edifico e degli impianti con una carta di identità dell'edificio (fascicolo di fabbricato) che lo accompagni nel tempo.
L'ipotesi di lavoro che mi sentirei di raccomandare al tavolo di confronto Governo Regioni è di esplorare il passaggio dalla verifica preventiva del progetto definitivo in tutti i suoi aspetti prima dell'inizio dei lavori, con l'inevitabile sequela di onerose varianti in corso d'opera, alla costruzione del fascicolo di fabbricato per fasi collaudate in corso di opera da parte di un "tutor" o "certificatore" indipendente rispetto alla proprietà, fermo restando la verifica preventiva della prestazione estetica dell'intervento e delle sue variazioni.
P.S.
In una intervista nell'edizione odierna del Carlino Ferrara il Presidente di Italia Nostra Andrea Malacarne tra i vari (e variamente discutibili) giudizi sul governo della città, dai quali in generale dissento, ripropone un errore che accompagna la discussione del PSC dall'inizio: la pretesa di trovare nel PSC ciò che si trovava nel PRG. Giudicare il PSC da un certificato di destinazione urbanistica può venire in mente solo a chi continui a rifiutarsi di leggere la legge regionale 20 e il suo allegato sui contenuti della pianificazione. Vale la pena ricordare che in questi anni al PSC è stata rivolta l'accusa di segno opposto: di essere "troppo dettagliato". Altrettanto sbagliato è il giudizio sulle cause delle difficoltà burocratiche: le leggi sbagliate si cambiano, non si aggirano. Altrimenti muore il principio di legalità, anche se è una soluzione molto all'italiana, e forse per questo Malacarne finisce, suo malgrado, per essere d'accordo con chi vorrebbe trasferirci in Veneto.
Infine la proposta di ripensare la collocazione del Museo Nazionale della Shoah spostandola da una proprietà demaniale ad una nuova proprietà, presumibilmente privata, mi pare sbagliata perché produrrebbe un allungamento dei tempi di realizzazione del museo proiettandoli in un futuro indefinito, il blocco di lavori di rimessa in sicurezza già iniziati e la permanenza del carcere come punto di degrado nella città.
*Assessore all'Urbanistica del Comune di Ferrara