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Sulla gestione pubblica dell'acqua

20-06-2011 / Punti di vista

di Valentino Tavolazzi *

Si cambia. Con i due referendum sull'acqua, gli italiani hanno detto basta alle politiche liberiste sull'acqua. Ora possiamo azzerare un percorso che ha condotto, in due decenni, ad una speculazione senza precedenti su un bene comune, con enormi aumenti delle bollette e nessun incremento degli investimenti. Qual era la situazione prima dei referendum?
Fin dal '97 (Legge Galli) il finanziamento del servizio idrico doveva avvenire con il principio del "full recovery cost": investimenti sulle reti e gli impianti caricati sulle bollette e non sulla fiscalità generale, capitale investito remunerato in tariffa. Tutti i partiti, a destra e sinistra, sostenevano che i Comuni non hanno soldi per gli investimenti, i privati si: li avrebbero anticipati in cambio di un ritorno certo con le bollette. Da allora i Comuni, dalle casse prosciugate, hanno ceduto la gestione dei servizi ai privati o trasformato le società di gestione pubbliche in s.p.a. miste pubblico-privato (enti di diritto privato). E' accaduto anche a Ferrara nel 2004 con la trasformazione di Agea in s.p.a. e la sua svendita ad Hera (amministrazione Sateriale-Tagliani).
Nel paese le tariffe sono decollate (Cittadinanzattiva: decennio 2000-10 +64,4%) e gli investimenti rimasti al palo. Federutility nel suo 'blue book': "Gli acquedotti italiani sono talmente disastrati che servono investimenti di oltre 55 miliardi di euro." Tale cifra, anche se spalmata sulla tariffa in 20 anni, renderebbe inaccessibile l'acqua a buona parte della popolazione. Dunque, la strategia dei privati è stata la stessa rimproverata al settore pubblico: pochi investimenti, visto che al servizio idrico, buono o scadente che sia, nessuno può rinunciare! Nel frattempo, con le bollette, i cittadini hanno riempito di dividendi le tasche dei soci privati delle aziende concessionarie dei servizi idrico, rifiuti, teleriscaldamento, pubblica illuminazione. Nel 2010 Hera, grazie anche alla posizione monopolistica in quei mercati, ha realizzato 3,7 miliardi di ricavi e 141 milioni di utile distribuito, di cui almeno il 40% finito nelle tasche di investitori privati. Dunque i cittadini, con le tariffe, hanno regalato per anni profitti ai privati. Oltretutto il servizio idrico per Hera è uno dei più remunerativi: lo testimonia il crollo del titolo in borsa dopo i referendum: 1,47 euro ieri, 1,76 il primo giugno).
Ora possiamo cambiare. I due referendum hanno abrogato sia l'obbligo di cedere i servizi ai privati, che la remunerazione del capitale investito. Gli italiani hanno detto basta ai profitti realizzati con l'acqua. Per Ferrara ciò costituisce un'occasione irripetibile ed irrinunciabile per dare una svolta alla gestione del servizio idrico, renderlo pubblico e al tempo stesso ristrutturare l'assetto industriale esistente. L'art. 23-bis del D.L. 112/2008 (obbligo alla cessione del servizio ai privati) è caduto sotto la scure del referendum abrogativo, dunque i Comuni possono in via ordinaria affidare il servizio "in house", senza gara, a società a capitale interamente pubblico, che realizzino per gli enti proprietari la parte preponderante della propria attività.
Il Cadf di Codigoro ha tali requisiti (è di proprietà dei Comuni al 100%), Hera no (azienda a capitale misto pubblico-privato). Alla fine del 2012 scade il contratto di servizio idrico di Hera ed è pertanto possibile unificare la gestione in una sola azienda (il Cadf), per tutta la provincia e senza gara. Si può altresì trasferire la proprietà delle reti e degli impianti provinciali (oggi in Acosea, Cadf e Comuni) in un'unica società patrimoniale (Acosea o Cadf). Questa è la sfida per la classe dirigente del nostro territorio e non le attuali politiche conservative ed Hera-dipendenti.

* - consigliere comunale Progetto per Ferrara