Il ciclista ovvero l'ossesso volante
26-06-2006 / A parer mio
di Gian Pietro Testa
Dicono che la bicicletta faccia bene. A me personalmente fa molto male. L'episodio esemplare è di qualche giorno fa, avevo appena portato la macchina fuori dal mio giardino, con passo carraio in via Pescherie Vecchie, vicolo strettissimo dove è consentita la sosta - i soloni del traffico pensano molto, troppo - e l'auto, motore acceso, era lì in attesa che chiudessi il portone, salissi e partissi. Pochi secondi. Chiudo il portone, apro la portiera di sinistra della vettura, sono sul marciapiede e improvvisamente un giovane ciclista, trainato da un cane bianco e nero, un border-collie da corsa, mi piomba addosso tentando di passare tra me e il muro, lui cane e bicicletta. Il muro è duro, io meno e il giovane ciclista, con sapiente manovra, soprattutto intelligente, sceglie me, non il muro. E' una tranvata terribile, la spalla destra, dove l'energumeno su due ruote mi impatta, si rincagna tutta dentro il corpo, mezzo lussata ed è soltanto nel momento dell'investimento che mi accorgo che il fulmine mi aveva colpito, proprio non l'avevo visto. Lancio un grido, nemmeno tanto volgare, anzi è una domanda: "Ma cosa fa?". La risposta è quella del ciclista ribelle ferrarese. Non ricordo bene le parole, ma all'incirca, dopo gli aggettivi d'uso (stronzo, imbecille....) l'ossesso volante, sempre gridando, mentre il cane da corsa lo porta via verso nuove entusiasmanti avventure, mi informa che io pedone non dovevo stare fermo sul marciapiede e che, quindi, la colpa era tutta mia. Devo accettare la lezione: quando arriva il ciclista ferrarese, il pedone deve fuggire, appiattirsi contro i muri, cercare rifugio in un androne. E' sconsigliabile e pregiudizievole comportarsi come Enrico Toti, prendere la propria stampella e lanciarsi contro il nemico bicimontato. Anche perchè, a Ferrara, città peraltro squisitamente folle, il ciclista è il padrone. Non molti mesi fa, in via San Romano, ero, con mia moglie e il cagnolino, all'inizio delle strisce per attraversare via Carlo Mayr. Improvvisamente alle nostre spalle udiamo un furioso scampanellare e, poi, la ruota anteriore di una bicicletta mi s'infila in mezzo alle gambe. All'investimento, senza lussazione di spalla questa volta, ma era una prova generale, segue una sfilza d'improperi da parte del coraggioso ciclista, un vecchio con barba grigia e lunghi boccoloni pure grigi. Me ne dice di tutti i colori, talchè io mi sto convincendo che i biciclai di Ferrara corredino, quando vendono, il loro prodotto con un vocabolarietto, il "Prontuario d'insulti del ciclista ferrarese", che è il vero codice per chi va su due ruote, perchè, si sappia, c'è un codice della strada e poi ci sono le "Pandette del velocipedista ferrarese", in base alle quali chi inforca le due ruote può andare in senso vietato, investire i pedoni, urlare improperi a chi non s'assoggetta alle norme inventate di volta in volta a seconde delle situazioni, usare il marciapiede come pista ciclabile, non usare la pista ciclabile laddove esista, non usare mai i freni (operazione classica delle donne piccole e grasse, le quali, per fermarsi, fanno un saltellino e usano i piedi come freni), mirare con la ruota anteriore i cagnolini piccoli tentando di passargli sopra (esercizio caro ai fatticci di piazza Travaglio), spingere sui pedali e chiudere gli occhi assaporando l'ebbrezza dell'ignoto. A tutti coloro che mi sono cari io dico sempre: state attenti, oltre alla prostatite, la bicicletta fa male. Alla testa, dico.