A Ferrara ogni luogo è buono per l'amore
02-09-2006 / A parer mio
di Riccardo Roversi
L'illuminista francese Charles de Brosses scrisse che Ferrara è abitata solo da gatti turchini. Chissà, forse la gente cadde vittima di un sortilegio del famigerato mago Chiozzino, oppure se n'era andata sentendosi d'ingombro all'anelito dei muri e degli spazi, loro sì davvero magici. Chiozzino era un negromante autoctono, che si dice avesse venduto l'anima al diavolo. Un giorno di agosto del 1771, liberatosi con un pretesto del suo servo e custode, lo scalcinato demonietto Magrino, entrò nella chiesa di San Domenico e si fece esorcizzare. Per non avere ben svolto il compito affidatogli, Magrino venne esiliato dal maligno in un quartiere fuori mura, dove pare che ancora vaghi per le campagne urlando il suo dolore.
Dentro le mura invece, nel centro, misterica tace la piazza. Basta appena imboccare una qualunque traversa per azzerarsi nel tempo e smarriti additare sui tetti il campanile del Duomo, fermo nel solo spazio dove i minuti presumibilmente scorrono ancora, dove gli abitanti si ritrovano al popolaresco Listone. Unico minuscolo tassello che abbiano mai potuto usurpare, come un'oasi rigogliosa in un deserto incurante, un'isola fidata in un mare intornabile. «So per certo di innamorati che si danno appuntamento, nelle strade di quei posti», scrive nel suo diario il Viaggiatore Indigeno.
L'amore, a Ferrara, ogni luogo è buono per l'amore. La precedente frase è ambigua, c'è una virgola di troppo. Se si elimina la prima virgola risulta "L'amore a Ferrara, ogni luogo è buono per l'amore", ed è il contrario di ciò che si intende; se si elimina la seconda virgola risulta: "L'amore, a Ferrara ogni luogo è buono per l'amore", ed è esattamente ciò che si vuole dire. Dunque, Ferrara è un posto ideale per l'amore? Non esattamente: Ferrara "contiene" posti - i più impensabili - idonei a "conservare" l'amore, a preservarlo e ad alimentarlo. Persino nei camposanti! Giorgio Bassani in 'Gli ultimi anni di Clelia Trotti', quarto racconto delle "Cinque storie ferraresi", si dilunga nel primo paragrafo sull'abitudine dei convegni amorosi degli innamorati nel prato/piazza adiacente al cimitero monumentale della Certosa. E anche il nostro Viaggiatore Indigeno ci segnala, nel suo ben più modesto ed estemporaneo, minuscolo diario, il giuramento reciproco di tale sentimento fra due giovani davanti a quei muti testimoni. Si legge infatti, in fondo agli appunti di una pagina sdrucita, la seguente annotazione.
«Uno dei molti cuori della città è il camposanto israelitico. Il cimitero ebraico comprende un'ampia radura disseminata di alberi e siepi, dove le stele, raggruppate in tenui aritmie, oppure sole in un prato vacante o aderenti al muro di cinta che a est si staglia lungo i bastioni folti di olmi, tigli e castagni, si stimano meno dapprima di quanto non siano davvero. Vi inerzia una quiete improvvisa e a camminarlo in un pomeriggio di maggio, fra i complici labirinti di rovi o negli slarghi pennellati di pioppi e macchie policrome, si interviene come attivi dettagli nel disegno di morte assurto a opera d'arte. Sopravvive il silenzio, le anziane cappelle sbriciolate di coppi e i cippi ficcati nell'abbraccio dei fusti appaiono spontaneamente perenni, eterni di una innocenza estranea al tempo. Forse per questo un uomo e una donna si sono promessi, in quell'orto, l'amore».