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Le capacità amministrative degli Estensi

31-01-2007 / A parer mio

di Riccardo Roversi

Nel suo assiduo peregrinare fra biblioteche e archivi, alla ricerca di "carte inedite", il Viaggiatore Indigeno ha rinvenuto due rari (e serissimi) documenti; il primo è un manoscritto con un commento sulle capacità amministrative degli Estensi durante il loro dominio, il secondo è un dattiloscritto su bonifiche e contingenze ferraresi dall'Unità d'Italia al "boom economico". Ecco il primo documento, il manoscritto sull'amministrazione "estense".

«A partire dalle epoche di Leonello (1441-1450) e Borso d'Este (1450-1471), la spaventosa contingenza demografica ed economica che attanagliava l'intero Ducato di Ferrara cominciò a segnare una inversione di tendenza. Ma già sin dal dominio di Nicolò III (1402-1441) gli Estensi, mediante la concessione gratuita di zone incolte e paludose a importanti famiglie (loro fedeli) di area locale, avevano dato l'avvio alle bonifiche e alla valorizzazione del territorio ferrarese. Con le famiglie insediate nelle possessioni gli Estensi mantennero rapporti consuetudinari, salvo il fatto che questi coloni da loro direttamente nominati godevano di vari privilegi fiscali. Lo stesso Borso promulgò nel 1456 gli Statuti, pubblicati a stampa vent'anni dopo, che regolavano le caratteristiche del rapporto fra i coloni e i proprietari.
Nella seconda metà del Cinquecento le campagne si presentavano ben ripopolate e la città, sotto la reggenza di Alfonso II, registrò una invidiabile espansione demografica che portò al numero di 30.000 circa gli abitanti. Tuttavia, a fine secolo, una tremenda carestia mise a nudo la fragilità di quell'agricoltura preindustriale di fronte alle avversità climatiche. Comunque, la congiuntura "positiva" era ormai innescata e la crescita della domanda provocata dall'incremento demografico suscitava molteplici opportunità di arricchimento, con il conseguente aumento dei prezzi dei terreni agricoli.
"I documenti del tempo, e in particolare gli atti dei notai ferraresi documentano assai bene l'emergere di un nuovo ceto di uomini d'affari che investono nella terra i loro capitali e di imprenditori, talvolta dalle umili origini, che assumono la conduzione in affitto di possessioni e di castalderie del patriziato cittadino o dei maggiori enti ecclesiastici […]. Un ceto di affittuari, composto da fattori arricchiti, da mercanti cittadini, da commercianti di grano e di seta, da pescatori e usurai, da appaltatori d'imposte pubbliche, si lancia sulla terra per ricavare profitto dalla vendita dei suoi prodotti […]. Con gli inizi del secolo XVII in effetti è tutta la società rurale ferrarese ad avere cambiato fisionomia. La partenza degli Estensi per Modena non farà che rimarcare che la ricchezza di Ferrara risiede ormai quasi esclusivamente nelle sue fertili campagne".
Nel XV secolo, grazie soprattutto ai grandi artisti che diedero vita alla celebre "officina ferrarese", Ferrara si connotò come uno dei più importanti centri rinascimentali italiani. All'ombra della casa d'Este operarono, sin dalla prima metà del Quattrocento, artisti come il Pisanello e Iacopo Bellini. L'illuminato Leonello creò infatti le condizioni per lo sviluppo del grande rinascimento estense, ospitando ad esempio l'umanista Flavio Biondo, Guarino Guarini, Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Piero della Francesca e altri artisti, letterati e filosofi. Ma fu con Borso che si affermò la scuola pittorica ferrarese, per merito di Cosmè Tura (1430-1495), Francesco del Cossa (1436-1478) ed Ercole de Roberti (1450-1496). E in campo letterario si alternarono, tra la fine del Quattrocento e la fine del Cinquecento, i grandi poeti Matteo Maria Boiardo (1441-1494), Ludovico Ariosto (1474-1533) e Torquato Tasso (1544-1595).
Leonello d'Este, durante il suo poco meno che decennale principato, tenne Ferrara lontana dalle guerre, migliorando così le condizioni economiche dei cittadini, esentati dalle spese militari. Egli fu il primo della dinastia Estense a perseguire con coerenza il consenso della popolazione, in specie tramite gli sgravi fiscali, l'investimento di capitali per dare impulso all'economia, la realizzazione delle bonifiche, la promozione di provvedimenti finalizzati ad alleviare gli stenti dei poveri e degli ammalati. Borso fu di certo più pragmatico di Leonello, preferì le arti "minori" (si pensi alla famosa "Bibbia") e si dedicò prevalentemente all'attività edilizia e urbanistica.
In seguito, con la reggenza di Ercole I d'Este, i ferraresi assistettero al raddoppiamento della città provocato dal grande piano dell'Addizione Erculea (peraltro intrapreso anche per rispondere con massicce domande di manovalanza all'indigenza che ancora regnava nei ceti più bassi), videro sorgere le chiese e i palazzi, mettere in scena le commedie dei classici latini, allestire i tornei, il Palio, le cerimonie. I costi di tali opere, frutto in larga parte del genio di Biagio Rossetti, finirono per pesare anche e soprattutto nelle tasche dei cittadini. Solo più tardi divenne a tutti palese, oggi vanto, la lungimiranza con cui tali imprese erano state progettate e realizzate. E che qualificarono Ferrara come la prima città moderna d'Europa: per la sua sobria bellezza, per l'efficacia delle soluzioni urbanistiche adottate, per il potenziale sviluppo socioeconomico che la sua struttura lasciava intuire.
"Quando Ercole I d'Este sul finire del Quattrocento decise di ingrandire Ferrara raddoppiandone la cinta muraria con quella Addizione che da lui prese il nome, probabilmente non pensava di poter riempire di uomini il vasto spazio agricolo […]. Una cerchia muraria di sette miglia rappresentava per una città di quell'epoca dimensione quasi spropositata. Eppure l'ingrandimento della capitale dello Stato estense, che comprendeva i feudi imperiali di Modena e di Reggio e altri territori, aveva dietro di sé la chiara percezione che tanto la città quanto le campagne del Ferrarese stavano rapidamente ripopolandosi dopo la grave contrazione demografica dei secoli XIV e XV e che, dunque, anche la vita economica, la produzione agricola, i commerci erano di nuovo in espansione".
La corte divenne sempre più polo di attrazione per funzionari, diplomatici, affaristi, imprenditori. Il mercato cittadino intanto si vivacizzava, i fondi agricoli intensificavano la produzione. Anche le corporazioni di arti e mestieri (prevalentemente di tipo artigiano e manifatturiero), soppresse da Obizzo d'Este nel 1288, in parte si riassestarono e ripresero lentamente a funzionare. Senza contare i prodotti agricoli e gli allevamenti nei vastissimi spazi extraurbani, alle cui bonifiche gli Estensi si dedicarono con efficacia soprattutto a partire, come si è detto, dall'epoca di Leonello: dagli interventi di Casaglia incominciati nel 1447-48 a quelli della Sanmartina, dai lavori nella Diamantina alla grande bonificazione deltizia voluta da Alfonso II.
La dominazione papale è quasi unanimemente considerata come il periodo più oscuro di Ferrara per molte ragioni, una fra tutte: la ghettizzazione degli Ebrei. Ma naturalmente vi sono pure altri sostanziali motivi, il più preponderante dei quali è il fatto che, con la partenza di Cesare d'Este per Modena, il cospicuo flusso fiscale che la corte incamerava dalle comunità dello Stato e che, in qualche modo e sebbene in piccola parte, ritornava alle comunità sotto forma di investimenti di vario genere o, meglio ancora, sotto forma di incentivazioni agli investimenti e all'imprenditoria, si sarebbe con il trasferimento della capitale estense riversato nelle casse della nuova sede emiliana. E inoltre buona parte dei gentiluomini, dei maggiori mercanti, nonché un abbondante numero di Ebrei con le loro invidiabili competenze, ritennero più opportuno e conveniente seguire gli Estensi a Modena, lasciando Ferrara impoverita di dinamismo imprenditoriale e di risorse umane.
Che la conquista del potere a Ferrara, nel 1240, da parte di Azzo VII d'Este (oggi ricordato come Azzo Novello) abbia significato per la città la perdita dell'autonomia comunale, tramite l'instaurazione di un governo autoritario, è cosa ben risaputa. E che il fiscalismo estense sia stato, almeno all'inizio e in altri momenti storici, uno fra i più severi è altrettanto scontato. Tuttavia "Le spese pubbliche dello stato estense seguirono una linea costantemente ascensionale […]. I beni demaniali estensi erano costituiti dalle terre e dai boschi, dai palazzi e dalle chiese, nonché dal commercio […]. Soprattutto le incette dei grani furono all'ordine del giorno; ma va ricordata la funzione benefica talora espletata da siffatti ammassi privati del sovrano, quando - e lo ricordano cronisti spesso piuttosto liberi nei loro giudizi verso gli Estensi - parte di quelle scorte veniva distribuita alla popolazione affamata o venduta a prezzi assai modici e arrendevoli".
Ad esempio nel 1505, allorché Alfonso I si avvicendò ad Ercole I, il quale aveva quasi dissestato le finanze con le spese di guerra e nelle grandiose opere edificatorie, il giovane duca affrontò con saggezza la situazione economica ed amministrativa di Ferrara. Da un lato tacitò amici e parenti dividendo fra loro gli oggetti preziosi appartenuti al defunto padre ed elargendo adeguati appannaggi ai fratelli, cautelandosi così da future lamentele nel ristretto ambito della famiglia e della corte, d'altro lato abolì i dazi e le gabelle istituite dal padre, acquistò grano a Venezia e lo fece distribuire ai più indigenti per alleviare i danni causati dalla carestia e, nello stesso tempo, si prodigò nel fronteggiare una spaventosa epidemia che stava decimando la popolazione ferrarese. Inoltre, non mancò di guadagnarsi ulteriore consenso popolare spogliando di beni e di potere alcune illustri famiglie, come gli Strozzi, ormai invise per la loro arroganza e avidità all'intera cittadinanza.
Anche Ercole II si distinse per la notevole rettitudine. Innanzitutto evitò per quanto possibile di partecipare alle guerre del suo tempo, ricorrendo abilmente a idonei pretesti diplomatici, in secondo luogo "Non appena al potere, aveva cercato di porre un riparo alla gravosa e preoccupante situazione finanziaria lasciatagli in eredità dal padre. L'erario era esausto e pare, tutto sommato, che il duca sia riuscito a reintegrarlo senza infierire sui sudditi e che anche in seguito si sia guardato dall'imporre tasse troppo gravose se non in circostanze del tutto eccezionali". Così pure il suo successore Alfonso II, per quanto sia stato uomo ben più distaccato e pragmatico, destinò considerevoli aiuti alla sua gente terribilmente provata dalle paurose scosse di terremoto verificatesi fra il 1570 e il 1572. Né la sua seconda moglie Barbara d'Austria lesinò la propria dedizione agli umili e agli infelici, fondando il Conservatorio delle Orfane di Santa Barbara allo scopo di ospitare fanciulle rimaste orfane per le calamità o abbandonate dai genitori.


Fonti:
F. Cazzola, "L'agricoltura nel XIV-XVI secolo",
in F. Bocchi (a cura di), "La storia di Ferrara",
Poligrafici Editoriale, Bologna 1995;
F. Cazzola, "Economia e società nel XVI-XVIII secolo",
in F. Bocchi (a cura di), cit.;
L. Chiappini, "Gli Estensi", Dall'Oglio, Varese 1988.