Il "diario ferrarese" del Viaggiatore Indigeno
17-05-2007 / A parer mio
di Riccardo Roversi
Forse qualcuno si sarà chiesto perché tanto silenzio da parte del Viaggiatore Indigeno (il suo ultimo intervento risale a circa tre mesi fa!). Ebbene, l'abbiamo scoperto: sta scrivendo un suo privato "diario ferrarese": ricordi, impressioni, luoghi, atmosfere, amori, gioie, tristezze, nostalgie, riflessioni che lo riguardano e che hanno ambientazione nel territorio estense (città e provincia). Dopo molte insistenze, abbiamo ottenuto l'autorizzazione a pubblicarne alcune pagine. Questa, in ordine non cronologico, è la prima.
Io e Manuela c'imbattevamo apposta in Porta d'Amore, dove dai Rampari di San Paolo si srotola di ciottoli al Moro, dove la città è più bella ma lo dà meno a vedere. Si vaneggiava di mansarde, di Parigi e Marlon Brando, i biscotti sbriciavano nei libri a ogni abbraccio più ribelle.
Non ero uomo e non capivo come farlo, ancora oggi sto imparando. Dalla corriera m'istruivo filando la pianura, il grano suggeriva l'indolenza, gli aquiloni le lusinghe e il canale la tristizia. Allora non scrivevo, le storie erano vere e non c'era bisogno di finali, lei sapeva questo e altro, mai una volta contò i giorni già trascorsi o che mancavano.
Camminando il Montagnone di Baluardo in Baluardo, dai Rampari di Belfiore a Belvedere fino a Casa degli Angeli, non c'era leccio senza il cuore a bordare le iniziali né un colombo senza nome in volo sul Listone. Borgo San Pietro era Montmartre e Parco Massari i Campi Elisi, i fiori rosa del ciliegio giapponese sbocciavano a maggio nell'aria densa di nuove idee e vecchi miti. Stonando canzoni straniere rasentavamo Schifanoia, la tomba di Lucrezia e gli orti di Bassani, la nebbia s'inzuppava nel fosso del Castello, mentre noi salivano gli scaloni al principio di Giovecca. Ci ammalavamo d'un male strano, dai sintomi inguaribili di gioia e d'incertezza.
Quel mattino, ai portici del Duomo, le parlavo di un incontro. "Come si chiama", lei chiese. E io risposi. Disse: "Bel nome". Una goccia traboccò la palpebra rigando il viso fino all'angolo del labbro, poi mi sfiorò la bocca e corse via sulle gambe magre.
Fu un bacio così lieve, che l'ho dimenticato.