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La nuova Grande Bonificazione Ferrarese

27-02-2007 / A parer mio

di Riccardo Roversi

Dopo il manoscritto contenente un'analisi della politica economica degli Estensi durante il loro dominio, ecco il dattiloscritto riguardante le bonifiche nel Delta e l'attività economica ferrarese nel corso del secolo 1860-1960 (entrambi rinvenuti dal Viaggiatore Indigeno tra gli scaffali di un polveroso archivio in Via Brasavola).

«L'inizio della grande stagione delle bonifiche e delle trasformazioni fondiarie del territorio ferrarese ha coinciso con l'Unità d'Italia, allorché quasi tutte le maggiori bonifiche di epoca rinascimentale erano ormai ricadute in balia di valli e paludi. Dopo alcuni sfortunati tentativi, prima da parte dell'ingegner Cesare de Lotto per conto del Consorzio del 1° Circondario scoli di Ferrara e, poco più tardi, da parte del conte Francesco Aventi sulle sue valli Gualenga e Burina in località Tresigallo e Formignana, il momento cruciale della bonifica giunse nel 1871, quando fu costituita a Londra la Ferrarese Land Reclamation Company Limited, finanziata da uomini d'affari inglesi e da banchieri italiani.
"Partì così la nuova Grande Bonificazione Ferrarese, dopo che la nuova società concessionaria, la Società Bonifica Terreni Ferraresi, aveva acquistato in proprietà ben 15.182 ettari di valli. Sul piano tecnico d'impresa consistette nel convogliare fino a Codigoro tutte le acque di scolo del comprensorio, tanto quelle 'alte' quanto quelle 'basse', che affluirono unite al gigantesco impianto di sollevamento a vapore sorto in riva al Volano ed entrato subito in funzione nel 1874. […] Agli inizi del Novecento il territorio della Grande Bonificazione era ormai una delle aree cerealicole più produttive del Paese. Le grandi aziende di bonifica che cominciarono ad operare nella parte orientale della provincia di Ferrara tra Po e Volano erano destinate a segnare in profondità la storia economica e sociale dell'intera provincia".
Nel frattempo, anche i possidenti del Consorzio del II Circondario Polesine di San Giorgio intrapresero varie opere di prosciugamento. Però in questo caso non si ritenne opportuno concentrare in un solo impianto di sollevamento tutte le acque di scolo ma, piuttosto, di creare diversi bacini autonomi muniti ciascuno di una propria macchina sollevatrice. Nacquero così nove piccole bonifiche: i bacini di Denore, Tersallo, Bevilacqua, Martinella, Trava, Benvignante, Sabbiosola, Montesanto e Campocieco. "L'impresa di maggior rilievo nel II circondario fu però la bonifica meccanica della grande Valle Gallare, un bacino di 12.500 ettari, i cui lavori erano iniziati nel 1873. In questo comprensorio si era formata una grande azienda capitalistica, l'Azienda Valgallare, ad opera di un intraprendente pioniere e progettista di bonifiche, l'ingegnere milanese Girolamo Chizzolini".
Ai primi del Novecento incominciarono i lavori della bonifica di Burana: un territorio vastissimo (oltre 100.000 ettari), esteso sulle tre province di Ferrara, Modena e Mantova, ad opera diretta dello Stato. A partire dagli anni Venti si convertì in terra coltivabile anche il fondo delle valli di Comacchio: le valli Pega, Rillo, Zavelea, Ponti e altre minori vennero messe all'asciutto e trasformate in terreni produttivi. Più tardi, nel secondo dopoguerra, furono avviate nuove opere di bonifica da parte dell'Ente Delta Padano nei territori di Mesola e Goro. E intorno alla metà degli anni Sessanta venne sottoposta a prosciugamento e a riconversione agraria la grande Valle del Mezzano, un bacino esteso oltre 20.000 ettari fino ad allora utilizzato solo come valle da pesca.
Dopo la caduta del dominio napoleonico e con la restaurazione della potestà pontificia, l'economia ferrarese sembrò valorizzarsi grazie alla felice collocazione della città sul nuovo confine del Po. Basti pensare al porto di Pontelagoscuro, che vide intensificarsi sensibilmente il traffico di burchi da trasporto che scendevano e risalivano il fiume con vari prodotti agricoli e minerali.
Nel 1850 il segretario della Camera di Commercio Filippo Maria Deliliers pubblicò i suoi Cenni statistici della provincia di Ferrara, una interessante ed esaustiva indagine sull'economia e sulla società ferraresi, che andava ad aggiungersi alle analisi date alle stampe nel 1845 da Andrea Casazza nel suo Stato agrario economico del Ferrarese. I Cenni statistici del Deliliers riportano alcuni elementi di novità, in merito alla condizione economica ferrarese, che vale la pena di ricordare. "Il mondo agricolo ferrarese era ormai in pieno movimento, nonostante le tendenze economiche generali del periodo della Restaurazione non fossero favorevoli e volgessero piuttosto al ristagno. L'amministrazione comunale aveva accolto in qualche misura le istanze di progresso che si levavano dalla borghesia agraria e si era fatta promotrice della fondazione di un Istituto agrario, con annesso podere sperimentale, e di una Società agraria che, sotto il titolo di Conferenza Agraria, raccoglieva oltre un centinaio di soci".
Piuttosto modeste erano al contrario le attività manifatturiere, sebbene non mancassero i segnali incoraggianti, come ad esempio l'impianto di una fabbrica di vetri e cristalli realizzata dal piemontese Giovanni Battista Brondi e di un'altra di cremor tartaro fondata da Costantino Bottoni, divenuta, quest'ultima, in breve tempo la terza per importanza nell'intero Stato pontificio. Grande successo riscosse invece l'opificio di Pontelagoscuro, costruito dal triestino Carlo Luigi Chiozza, per la produzione di saponi da toeletta. Ma la più eclatante novità, per la crescita dell'economia ferrarese, fu la straordinaria espansione del mercato interno ed estero relativamente alla coltivazione e alla lavorazione della canapa. Lo smercio di tale prodotto si allargò, soprattutto per merito della Comunità Israelitica locale, fino alla Germania, all'Inghilterra, all'Impero asburgico. Il principale centro di produzione canapicola divenne il comune di Cento, per quantità e qualità del prodotto e per quantità degli operatori dediti alla filatura e alla tessitura.
Con l'unificazione della penisola sotto la dinastia dei Savoia, si aprì per la Valle Padana un favorevole ventennio di espansione agricola e di un più vivace dinamismo economico, benché continuassero ancora a persistere diffuse zone di arretratezza. Sulle terre prosciugate dalle bonifiche, che avevano richiamato nel Ferrarese schiere di braccianti e di terrazzieri, incominciò ad insediarsi la grande azienda capitalistica, dedita alla produzione cerealicola su vasta scala e aperta al mercato nazionale e a quelli internazionali. Tuttavia l'inizio dell'industrializzazione con l'impianto in provincia di mulini a vapore, di zuccherifici e di canapifici, non fece che rimarcare la limitativa stagionalità dell'impiego della mano d'opera: ad esempio la campagna saccarifera occupava lavoratori per non oltre sessanta giorni nell'arco di un intero anno. La conseguenza fu che non venne affatto risolto il problema della disoccupazione, anzi il fenomeno era destinato ad aggravarsi.
Bisogna comunque ammettere che, alle soglie della prima guerra mondiale, l'espansione produttiva era stata notevole: la produzione del frumento era passata da poco più di 500.000 a oltre 1.200.000 quintali, la nuova coltura della barbabietola da zucchero si era rapidamente affermata favorendo l'insediamento dei primi stabilimenti saccariferi, la coltivazione della canapa continuava ad espandersi. E da questa positiva contingenza traeva alimento anche l'attività industriale, infatti nel 1914 le imprese industriali della provincia di Ferrara erano diventate oltre milleseicento e occupavano quasi quindicimila lavoratori, di cui circa duemila impiegati nel settore della lavorazione dei metalli e la maggior parte dei rimanenti nelle industrie trasformatrici dei prodotti dell'agricoltura.
Fra il 1919 e il 1921 lo scontro di classe nelle campagne raggiunse il suo vertice, le squadre fasciste sconfissero le leghe socialiste, sicché le organizzazioni sindacali del fascismo, appoggiate dagli agrari, si imposero sui sindacati della sinistra. Il padronato agrario mise in discussione il "patto Zirardini" del 1920, che prevedeva l'obbligo da parte degli imprenditori di assumere durante l'inverno, sebbene per un tempo limitato, i lavoratori disoccupati. Durante il ventennio fascista permase nelle campagne ferraresi il problema della disoccupazione rurale, anzi la politica deflazionistica avviata nel 1927, con l'obiettivo di portare il cambio della lira italiana nei confronti della sterlina inglese alla cosiddetta "quota novanta", si tradusse per l'economia ferrarese in una preoccupante crisi agricola e finanziaria.
"Nacque per decreto del 1936 la zona industriale di Ferrara, dove dovevano insediarsi diverse aziende trasformatrici dei prodotti agricoli ferraresi e in funzione della riorganizzazione autarchica dell'economia italiana: dalle industrie canapicole a quelle per la produzione di amido, dalle distillerie alle fabbriche di imballaggi, dalla Società Chimica Aniene alla Società Gomma Sintetica, alla Leghe Leggere, alla Cellulosa. Buona parte delle industrie insediate nella zona industriale ferrarese, creata a nord-ovest della città a congiungersi col vecchio polo industriale di Pontelagoscuro sul Po, poterono entrare in funzione solo a guerra iniziata, nel 1941-42. Nonostante gli orientamenti autarchici della produzione, la presenza della zona industriale rappresentò per Ferrara un'importante novità sul piano sociale: nasceva per la prima volta un nucleo compatto di classe operaia industriale, non legata a brevissimi cicli stagionali". Intanto era sorta, a partire dal 1934, una zona industriale anche a Tresigallo, quantunque interamente mirata alla sola attività di trasformazione dei tradizionali prodotti dell'agricoltura ferrarese: canapa, frutta, barbabietole, latte.
L'immediato secondo dopoguerra vide Ferrara alle prese con i disastri arrecati dal conflitto bellico: migliaia d'ettari di terre sommerse a causa dei danni provocati agli impianti idrovori, i ponti crollati sul Po, i nodi ferroviari impraticabili, le principali industrie della zona a nord-ovest distrutte, Pontelagoscuro rasa al suolo dai bombardamenti. Il numero dei braccianti agricoli superò le 100.000 unità e il pilastro della produzione agricola ferrarese, la canapa, entrò in una crisi irreversibile.
Nel corso degli anni Cinquanta Ferrara divenne la capitale della produzione di mele, sorsero così magazzini, impianti frigoriferi, strutture per la lavorazione e la commercializzazione della frutta, imprese per il suo trasporto, fabbriche di imballaggi, industrie per la produzione e la conservazione, distillerie per la trasformazione in alcool della frutta di scarto. Il lavoro agricolo subì dunque un processo di "meccanizzazione", incentivando la nascita di molte imprese dedite alla lavorazione dei terreni. Al contempo si insediò nella zona industriale il grande complesso della Montecatini, che rese la città un polo chimico di importanza nazionale.
Anche Ferrara fece la sua parte negli anni del "boom economico", sebbene con caratteristiche strutturali diverse da quelle del modello emiliano, che privilegiava le piccole e medie imprese integrate fra loro. Verso la fine degli anni Sessanta, con l'esaurirsi del "miracolo economico", entrarono in crisi alcune delle prime aziende della pionieristica industrializzazione ferrarese, come la Zenith e la Lombardi, oltre a diversi zuccherifici e conserve alimentari. "Ma mentre vecchi impianti smantellavano e vecchie gloriose imprese cessavano di esistere, altre novità stavano emergendo a fianco e al di sotto della tradizionale realtà produttiva. Stava decollando una rete di imprese artigianali e di piccole industrie più legate al mercato locale e al contesto emiliano. Anche Ferrara entrava nella graduatoria delle province italiane a maggiore incremento del reddito, pur conservando caratteristiche, contraddizioni e squilibri nel mercato del lavoro, forte stagionalità nell'occupazione, elevati indici di disoccupazione giovanile"».

Fonti:
F. Cazzola, "La bonifica",
in F. Bocchi (a cura di), "La storia di Ferrara",
Poligrafici Editoriale, Bologna 1995;
F. Cazzola, "Economia e società (XIX-XX secolo)",
in F. Bocchi (a cura di), cit