E nessuno la rivide mai più
04-10-2007 / A parer mio
di Riccardo Roversi
È questa una delle pagine più brevi ma al contempo più intense riportate nel "diario ferrarese" del Viaggiatore Indigeno, dove la nostra bellissima campagna, favolosa e pulsante, attende con ansia l'arrivo ogni estate di una misteriosa fanciulla, con la quale essa vive in perfetta e felice simbiosi nel corso della stagione. Finché un giorno
Strane cose nel buio aggiravano le case con brusii felpati, solamente all'alba, quando la nebbia scolava nel sole, ricominciava a frusciare quell'immarcescibile silenzio.
Certe volte negli ombrelli rimbalzava il temporale, ma con le nubi il vento non poteva rispazzare anche la malinconia.
E non erano promesse gli arcobaleni, anzi apparivano riflessi come da specchi formidabili, concavi o convessi, appesi ai cieli più lontani.
Ogni estate ritornava, platani e pioppi l'aspettavano, i tramonti negli stagni, i campi di granturco.
Lei filava con i fiori selvatici degli argini, coi fossi nei frumenti, le gramigne d'oltresiepe.
A mezzanotte planavano le ombre, scagliate dalla luna imbottita di figure, però la sua si smarriva per eccessiva trasparenza.
Di mezzogiorno svanivano le ombre rinfilandosi nei corpi immobili nei gesti, una calma inquieta scioglieva giù dall'aria, come colori da un dipinto liquefatti in quell'istante.
Finché un'estate non tornò, la campagna l'attese disperata ma lei non venne.
E nessuno la rivide mai più.
Adesso, il canale slitta languido sotto al pontino, i rami dei salici carezzano la corrente, le rane sgambano sulle nadrine e le falene vagano fra gli sterpi, che ancora crescono.
Nonostante.