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Il Palazzo senza Ragione

19-01-2007 / A parer mio

di Oscar Ghesini

La ventilata demolizione del Palazzo degli Specchi stimola qualche riflessione su un altro palazzo che a Ferrara fu al centro di polemiche e controversie, sia pure in altro contesto e periodo: il centralissimo Palazzo della Ragione: è l'edificio che ospita il McDonald's, quello indicato dai ferraresi meno giovani come il palazzo della "ex Upim".
Non occorre essere esperti di architettura per constatare che la sua facciata costituisce un'infrazione estetica allo scenario della Ferrara medievale, rinascimentale e pontificia: la ostentata modernità di questo palazzo appare infatti estranea all'architettura degli edifici che si affacciano su Corso Martiri della Libertà - il Castello, i palazzi del Comune e Arcivescovile, la Cattedrale, il palazzo di Corte con la Torre della Vittoria - e su Piazza Trento e Trieste, ove fanno bella mostra di sé la Torre dell'Orologio, la Chiesa e il chiostro di San Romano, il campanile albertiano e il palazzo di San Crispino.
Per spiegare l'esistenza di questa ferita architettonica nel centro di Ferrara, città dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità, è utile ripercorrere, brevemente e a ritroso, la storia dell'edificio e le vicende del suo ultimo progettista.
Il "vecchio" Palazzo della Ragione, che a torto molti ritengono distrutto dai bombardamenti bellici, fu danneggiato dagli incendi appiccati dai fascisti per eliminare archivi compromettenti; i bombardamenti colpirono invece pesantemente la retrostante zona di S. Romano. L'attuale palazzo fu innalzato tra il 1954 e il 1956 su progetto dell'architetto Marcello Piacentini, e della preesistente facciata conserva solo alcuni pilastri in pietra e la forma a sesto acuto delle arcate.
Anche quella facciata era stata però riedificata: tra il 1831 ed il 1835, dall'ingegnere capo del Comune Giovanni Tosi che nel 1830 aveva ricevuto l'incarico dopo le parziali demolizioni operate nel 1826 per l'instabilità della vecchia struttura: l'edifico originario era sorto infatti dal 1325 (compiuto in appena un anno, si era poi arricchito nel Quattrocento di dipinti nella facciata) ma aveva subito gravi danni per un incendio nel 1512 e il terremoto del 1570; il declino degli Estensi aveva procurato nuove incurie che, unite a superfetazioni di avancorpi di fabbrica per botteghe commerciali e a numerosi adattamenti interni, avevano condotto il Palazzo della Ragione alla situazione del 1826.
Nell'ottobre del 1835 a Ferrara si inaugurò dunque la nuova facciata del Palazzo della Ragione, che per più di cento anni avrebbe fronteggiato la Loggia dei Merciai, sul lato sud della Cattedrale. Il Tosi ideò una soluzione architettonica di impronta neogotica, che ebbe la meglio su altri progetti di stile neoclassico allora più in voga, perché favorita dalla scoperta, abbattute le botteghe, degli archi a sesto acuto.
Poco si sa della originaria struttura trecentesca (che l'avvocato Giovanni Zuffi nel 1840 descrive, ricordandola, "di massiccia forma": probabilmente era simile al Palazzo della Ragione che ancora oggi si osserva a Mantova), mentre della facciata ottocentesca edificata dal Tosi esistono, come è naturale, numerose fotografie: consisteva in un unico corpo di fabbrica, ma suddiviso "per la vista" dai marmi e dagli stucchi decorativi in tre sezioni orizzontali (una centrale più ampia e due laterali) ed altrettante verticali; così lo si descriveva in un documento adespota del 1835: "sorge la facciata sopra nove archi ed è divisa in tre corpi, dei quali i due laterali sono sporgenti dal medio, mentre però questo è molto più lungo dei primi. I due avancorpi laterali vengono contornati da quattro grandi pile ottogonali addossate al muro, le quali si ergono fino alla sommità della fabbrica e su cui poggiano quattro guglie". Poi si descriveva il piano terra: "Fra un arco e l'altro vi ha un rosone a vario disegno, concavo alquanto nel muro, con contorno circolare, alla foggia delle finestre traforate che tanto erano usate dai Gotici anche come puro ornamento". Quindi il secondo piano, dove "le finestre a sesto acuto, contornate da cordoni e scozie, sono di numero uguale agli archi sottoposti e perfettamente ad essi corrispondenti. Vengono queste suddivise da binati archetti, i quali sono sostenuti da sottili colonnette." Infine, l'ultimo piano: "L'ornamento di cui va fregiato l'ultimo piano consiste in altrettante finestre quante ve ne hanno nel secondo, di forma più circolare e di contorno uguale. Un ricco cornicione con bellissimo fregio serve di cima alla facciata. Vi s'innalza una merlatura composta di quindici merli nel gran corpo di mezzo e tre per ogni avancorpo, i quali hanno lateralmente le due guglie di forma ottogonale". La descrizione si concludeva con un tocco di pragmatismo: "La distribuzione della facciata è fatta per modo da potervi continuare internamente la fabbrica a comodo di tutti gli uffici".
Fu insomma un falso gotico quello ideato dal Tosi, tale però da inserirsi mirabilmente nella scenografia della piazza: le sue finestre binate richiamavano, va aggiunto, gli archetti e le colonnine del fianco meridionale della cattedrale, sulla parte opposta del 'listone'; era un palazzo che destava tra i ferraresi, concordano le testimonianze, ammirazione, senso di rispetto e grandezza. La sua muratura si prolungava poi fino alla Torre dell'Orologio, alleggerita da un decimo arco che consentiva ai pedoni ed alle carrozze di transitare verso Corso Porta Reno.
Il nuovo Palazzo della Ragione, come anticipato, fu edificato nella forma attuale tra il 1954 ed il 1956 dall'architetto romano Marcello Piacentini in uno dei suoi ultimi lavori: il Piacentini morì infatti nel 1960 (era nato nel 1881), dopo avere attraversato il secolo da primattore nella storia dell'architettura italiana: quando godeva già di ottima fama aveva aderito infatti al fascismo, era divenuto l'architetto ufficiale del regime ed aveva contribuito a realizzare parti essenziali della Roma del Novecento. Guadagnandosi peraltro la fama di "sventratore" con operazioni come l'abbattimento della medievale Spina di Borgo per fare spazio a via della Conciliazione, nel 1941. Dunque il Piacentini, che pure scrisse di essere amico di quell'Albert Speer architetto del nazismo che contava sulla requisizione degli alloggi degli ebrei per fare spazio alle sue monumentali opere berlinesi (cfr. A. Scarrocchia, Alber Speer e Marcello Piacentini, L'architettura del totalitarismo degli anni trenta, Skira, 1999), continuò a lavorare anche dopo la fine del conflitto, come appunto dimostra il caso di Ferrara. Qui non si intende mettere all'indice l'uomo per i suoi trascorsi politici: perché, come riferisce M. Pisani nella sua introduzione al volume M. Piacentini, Architettura moderna, Marsilio, 1996, "nel dopoguerra Piacentini subì il giudizio della commissione per l'epurazione ma venne prosciolto dalle accuse", e tanto ci basta. Altro ci importa oggi rilevare, e su un piano che attiene temi architettonici. Il Piacentini fu un convinto sostenitore del razionalismo, lo stile che a cavallo dei due secoli si impose privilegiando un'idea di architettura funzionale all'uso degli edifici, meno legata al naturalismo romantico e allo storicismo degli stili. Il razionalismo portò a costruzioni dalle linee sobrie ed essenziali, bene rappresentate dalle opere di Le Corbusier, Gropius, Meyer e di altri celebri architetti. Ora, questa idea di semplificazione, di soppressione delle strutture inutili, di riduzione delle decorazioni al puro necessario, balza evidente se si confrontano la preesistente facciata ferrarese del Palazzo della Ragione con quella progettata dal Piacentini, che agì in piena coscienza neorazionalistica. In ossequio ad una considerazione dell'architettura funzionale alle nuove esigenze delle città moderne (e in nome della quale seppe tenersi a distanza dal classicismo monumentale), il Piacentini aveva scritto, già nel 1929, che l'architettura doveva perseguire, citiamo dal volume curato dal Pisani, "una compresenza di due linguaggi, uno sensibile nei confronti delle memorie storiche e l'altro teso verso il nuovo; per i centri storici si deve arrivare a un'architettura celebrativa, legata alla storia, alla tradizione, fintantoché una lenta e graduale evoluzione non avrà unificato le due correnti e, superate le polemiche e i contrasti, si giungerà a un unico linguaggio moderno in grado di rappresentare il nostro paese". Queste parole, a nostro avviso, illuminano il senso del progetto piacentiniano per il Palazzo della Ragione di Ferrara: egli intese costruire una facciata che, vagamente omaggiando il vecchio centro (donde, la riproposizione dei gotici archi inferiori), celebrasse soprattutto l'avvento di una Ferrara nuova, moderna e in auspicato sviluppo (donde, i due nastri di finestre squadrate ai piani superiori, sia pure addolcite dalle bugne fra un marcapiano e l'altro). Non si dimentichi che il progetto del Piacentini si accompagnava ad un più ampio piano di rinnovamento della zona di via San Romano (non suo) che il Comune approvò nel 1953 e fece realizzare negli anni immediatamente successivi.
Cosa osservare, allora? Che la città 'moderna' preconizzata del Piacentini è andata urbanisticamente realizzandosi in altre direzioni, mentre il centro di Ferrara, con l'eccezione del 'vulnus' Palazzo della Ragione - San Romano, ha mantenuto intatta la sua impronta dell'età di mezzo; anzi: per le amministrazioni ferraresi che si sono succedute in questi decenni, con la loro politica tesa alla valorizzazione turistica del territorio, la tutela architettonica del centro è divenuta un elemento irrinunciabile sulla via del rilancio del ruolo culturale di Ferrara. Su questa strada si è mossa anche l'attuale amministrazione, cui va riconosciuto di avere messo a segno buoni colpi nel 2006 nella gestione del patrimonio monumentale del centro urbano: pensiamo al restauro del complesso di Piazzetta S. Anna, dell'abside del Duomo, della Chiesa di S.Cristoforo, al recupero del corridoio dei Camerini, alla pavimentazione dei tratti Bersaglieri del Po - Adelardi, alla ripulitura della facciata del Palazzo del Comune.
Ciò che è singolare, comunque, è che queste opere di tutela della città medievale ed estense rendono sempre più estranea la facciata del Palazzo della Ragione al centro cittadino; per, diremmo, la filosofia costruttiva che ne determinò la progettazione, proprio la 'ratio' piacentiniana. Il che non toglie legittimità alla presenza di uffici e strutture commerciali nel palazzo, evidentemente: si discute della linea architettonica della sua facciata. Un'ultima considerazione, che suona quasi a beffa per i ferraresi: il Palazzo di Corte e la torre della Vittoria prospicienti il Duomo costituiscono un rifacimento in stile trecentesco, compiuto tra il 1924 ed il 1928; esso si richiama in alcuni elementi proprio alla facciata del vecchio Palazzo della Ragione, soprattutto nelle quattro finestre con archetti binati soprastate da una volta a sesto acuto, del tutto simili a quelle che ornavano la facciata ideata dal Tosi. Il che rende ancora più contraddittoria la progettazione in stile neorazionalista voluta dal Piacentini. Come poi fu possibile che il principale architetto del Ventennio edificasse nella 'rossa' Ferrara appena nove anni dopo la fine della guerra, questa è un'altra storia: che dimostra come, per dirla in termini urbanistici, nei 'piani alti' del nostro Paese la pacificazione si sia realizzata ben prima che tra la popolazione.
Abbiamo inteso, con questo intervento, fornire qualche elemento che possa rendere meno tabù l'avvio di qualche ragionamento sulla possibilità di demolire la facciata piacentiniana del Palazzo della Ragione, per ripristinare quella Ottocentesca. La facciata, sottolineiamo: non l'intero corpo di fabbrica. Provino i ferraresi, con un poco di immaginazione e magari dopo avere visionato una foto del vecchio palazzo progettato dal Tosi, a soffermarsi in Piazze Trento e Trieste e, ruotando con un giro di 360 gradi sui tacchi, a pensare al nuovo aspetto che assumerebbe il nostro centro cittadino. Crediamo riuscirebbe straordinario. Diranno i nostri venticinque lettori: ma costui è pazzo! Una nuova facciata! Con i tempi che corrono poi, di debito pubblico, vacche magre e finanziarie stringenti, casse comunali vuote … Beh, ma anche questa è un'altra storia.