I gabbiani di Bassani
07-08-2007 / A parer mio
di Claudio Cazzola
Vengono nel mattino i canti esili dei gabbiani,
neve e dardi sono per l'aria le loro voci serene.
Teneramente ti chiamano! Nel vento delle golene
col braccio li saluti al passaggio come assorti aeroplani.
E già lontani oltre l'argine del fiume che s'incurva,
li vedi perdersi nell'azzurra foschia bassa dei salici
controcorrente. La libera memoria di quelle fragili
ali è ancor qui che ti palpita nei grigi occhi, ti turba.
Si tratta di una delle prime prove poetiche bassaniane, appartenente alla raccolta originariamente intitolata Storie dei poveri amanti e altri versi (Astrolabio, Roma, 1945). Il respiro della scrittura non risulta certamente ampio, ricondotto com'è all'interno di una doppia quartina - schema strofico più che rassicurante nella sua consolidata classicità: non solo, ma altri elementi strutturali irrobustiscono l'omaggio alla tradizione poetica italiana. Ecco appunto l'uso della rima a schema incrociata (ABBA) rigorosamente funzionante in prima sede(gabbiani/aeroplani; serene/golene), mentre successivamente subentra la ben nota variazione stilistica dell'assonanza, e nei due versi centrali (salici/fragili) ed in quelli estremi (s'incurva/turba), con i punti fermi a dovere collocati al termine di ogni strofa.
Eppure, l'immobilità del modello tradizionale prende vita autonoma grazie proprio all'attenzione riservata dall'Autore ai segni di interpunzione (scrupolo morale che Egli conserverà per tutta la vita): e sempre nel terzo verso. Dapprima infatti leggiamo l'enunciato esclamativo Teneramente ti chiamano!, vero e proprio giro di boa del punto di vista della scrittura, allorchè ai canti dei gabbiani del verso 1 si sostituisce il «tu» soggetto del verbo saluti al verso 4; ed è proprio l'area del significato del verbo «chiamare» a chiarire come nei primi quattro versi regni incontrastato l'udito, qualora il lettore ascolti se stesso mentre ripete la sequenza (pure essa come la rima, ABBA: sostantivi esterni ed aggettivi interni) canti esili
assorti aeroplani, laddove il termine assorti contribuisce ad umanizzare tutta la scena, ad inserire perfettamente il «tu» nella natura incontaminata circostante. Il posto simmetrico della frase esclamativa è occupato, nel verso 7, dall'avverbio composto controcorrente, che appartiene di certo alla dinamica del volo dei gabbiani, ma contestualmente rappresenta una didascalia di lettura, un invito, insomma, a cambiare l'antenna sensoriale di approccio al testo: dall' u d i t o alla v i s t a.
Una vista prima fisicamente corporea, allorquando l'occhio si sforza di seguire fin che può la traiettoria dei volatili; l'esaurirsi delle facoltà visive non rappresenta, successivamente, la fine di ogni esperienza, perché viceversa coincide con il sorgere della memoria, la libera memoria, espressione che non a caso segue dopo il punto fermo. Memoria è ben più che il mero ricordare: memoria è l'unico elemento che, secondo lo scrittore greco Plutarco di Cheronea, noi umani abbiamo in comune con la divinità, quale un «udir cose cui siamo sordi e veder cose cui siamo ciechi»; la possibilità cioè di riscattare dal dominio del tempo divoratore di tutto quello che resta per noi essenziale alla vita, alla sopravvivenza, al mantenimento di quella splendida illusione che ci nutre quotidianamente quale viatico nella lotta contro l'angoscia esistenziale.
Se restano soltanto le fragili ali dei gabbiani a costituire il tesoro, è nella coscienza, anzi, nella certezza della propria fragilità che si può trovare la spinta per rialzarsi, nel mattino: e questo lo sa bene, molto bene, chi ha da sempre a che fare con un fiume, con i suoi argini, con le sue golene, dove vita e morte non si distinguono. Un fiume che si chiama Po.
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«P come PO. Il suo esordio alla regìa è arrivato durante la guerra proprio con un'opera ispirata al grande fiume: "Gente di Po". Un legame forte con la sua terra che non ha mai voluto recidere»: questa didascalia alfabetica, pubblicata insieme con altre a pagina 11 del quotidiano «La Nuova Ferrara» in data 3 agosto 2007 in occasione della celebrazione dei funerali di Michelangelo Antonioni, costituisce il pretesto per il presente umile omaggio al nostro illustre Concittadino, ispirato dai versi del suo più famoso antagonista nelle partite di tennis al Marfisa (vedi al proposito la viva testimonianza di Gaetano Tumiati, pubblicata mercoledì 1 agosto u.s. nell'inserto ferrarese del «Resto del Carlino», pagina IV).
Il testo oggi in lettura si può trovare alla pagina 1359 della ormai ben nota guida (G. Bassani, Opere, a cura di R. Cotroneo, Mondadori, Milano, 2001); scrupolo filologico impone di segnalare che il passo plutarcheo citato appartiene al dialogo dedicato alla fine, o al tramonto, o alla crisi che dir si voglia, degli oracoli (De defectu oraculorum, 432 B) - vedi per esempio Plutarco, Diatriba Isiaca e Dialoghi Delfici, a cura di V. Cilento, Sansoni, Firenze, 1962, pp. 368 s. [testo greco e traduzione italiana a fronte].