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Ascoltare l'Odissea: Nekya, Sirene

06-03-2008 / A parer mio

di Claudio Cazzola

Ascoltare l'Odissea: letture commentate in tre tempi
Il secondo tempo delle letture dell'Odissea presso il Liceo Classico Statale «L. Ariosto» in Ferrara ha trovato il suo compimento nella serata di giovedì 21 febbraio 2008.
Il terzo ed ultimo tempo inizierà martedì 29 aprile p.v.

Nekya, Sirene
L'incontro con Circe è decisivo per il prosieguo della storia, perché è questa dea colei che possiede la mappa del nostos (il ritorno, parola che individua la tipologia compositiva del nostro testo).
Come condizione preliminare per un percorso di tal genere deve esserci, sempre, un cammino di discesa verso il punto più basso della condizione umana, una profondità interiore che, dal punto di vista collettivo, è rappresentata dal mondo dell'aldilà; ovunque si situi questo luogo, si tratta sempre di un non-luogo, rovesciato cioè rispetto al nostro quotidiano, buio invece di luce, spettri invece di corpi, menti senza memoria invece di saldo possesso della propria identità. Ebbene, qui deve andare il nostro eroe, per interrogare il profeta Tiresia, l'unico - ci viene garantito da Circe stessa - cui la regina dei morti abbia concesso di mantenere intatta la mente. La località dell'incontro fra chi è ancora vivo, Odisseo, e chi non lo è più si trova lungo le rive del fiume Oceano, oltre il popolo dei Cimmeri, che sono, non a caso, sempre avvolti dal buio, proprio come onnubilata è la ragione quando si è costretti ad evocare (la parola greca nekya significa appunto «evocazione») il passato per cercare di ricostruire un futuro sulle macerie del presente. E che cosa mai predice Tiresia al nostro eroe? Il futuro da lui prospettato (libro undicesimo, vv. 100-137) non è univoco né unico, bensì doppio e, se si vuole guardare con attenzione, diversificato. Infatti la prima sezione (vv. 100-120) altro non è che l'anticipazione della trama generale della parte successiva del poema, l'arrivo cioè ad Itaca e la dura lotta per conquistare la casa e la donna contro i Pretendenti; a sorpresa invece segue una seconda sezione (vv. 121-137) che non trova sviluppo alcuno nella nostra Odissea, ma che sicuramente doveva far parte di un altro racconto (e che infatti sarà sfruttata dal poeta latino Ovidio, per esempio, e poi da Dante, ed infine dal nostro Giovanni Pascoli, con il tema noto come «l'ultimo viaggio di Ulisse»). Quel viaggio che segnerà la fine, decisiva, della signoria di un antico re del mare, che si cela sotto il nome di Odisseo, spodestato com'è dall'arrivo di divinità straniere vincenti, fra le quali il nuovo signore che si chiama, ovviamente, Poseidone.
La mappa del ritorno, dunque, offerta da Circe all'eroe non è una rotta autostradale, affatto, bensì zeppa di insidie e di trappole. La tappa più pericolosa, tanto da essere narrata per ben tre volte (la prima dalla dea al solo Odisseo, la seconda da Odisseo ai compagni, la terza l'avventura vera e propria), è quella delle Sirene. Noi dalla lettura del poema non apprendiamo nulla circa la figura fisica di questi esseri - siano essi marini o volanti; nulla nemmeno, a rigore, del loro numero, perché nel testo troviamo sia il duale (un numero verbale che sta fra il singolare ed il plurale) sia il generico plurale; nulla del loro futuro, dopo il transito di questa nave. Delle Sirene vediamo invece,
attraverso l'ascolto, la voce, una voce che strega, che fa dimenticare il ritorno, esattamente come il loto, e come il loto sarà una voce allora magica, capace di togliere a chi ascolta la ragione. Che cosa cantano le Sirene? Tanti avrebbero voluto saperlo, ma invano, come l'imperatore Tiberio, a detta del suo biografo Svetonio: anche noi non lo sappiamo, perché Odisseo riporta - mentre racconta ai Feaci l'episodio (libro dodicesimo, vv. 184-191) - solo il proemio del canto, cioè il preludio, l'antifona, ciò che sta prima. E allora? E allora, ancora una volta, il segreto è dentro il testo stesso: il canto delle Sirene è il canto dell'aedo medesimo, è il repertorio tramandato oralmente che si fa canto mentre viene ascoltato: e siccome viene ascoltato in una atmosfera di 'stregoneria' prodotta dal canto stesso, l'uditorio non se ne accorge proprio, subendo, ogni volta, questo meraviglioso inebriante inganno. Quello della parola poetica, che è tale da consentire, essa unica, una sospensione del tempo cronologico in cui chi ascolta può compiere, davvero, una discesa purificatrice dentro di sé.