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Ascoltare l'Odissea: Lestrigoni, Circe

28-02-2008 / A parer mio

di Claudio Cazzola

Ascoltare l'Odissea: letture commentate in tre tempi
La quinta conversazione del ciclo, tenutasi martedì 19 febbraio 2008 sempre presso il Liceo Classico Statale «L. Ariosto» in Ferrara, si è incentrata sulla tappa dei Lestrigoni e sull'incontro dell'eroe, decisivo per gli sviluppi della trama, con Circe.

Lestrigoni, Circe
Una volta frustrato il ritorno, favorito dal regalo dell'otre dei venti di Eolo ma reso inutile dalla insensatezza dei compagni, Odisseo giunge a Telepilo Lestrigonia, città dotata di un porto troppo accogliente per non nascondere un tranello nefasto. Infatti la baia tranquilla e riparata dai venti si trasforma in una trappola micidiale per tutte le navi che vi entrano, ma Odisseo, con la sua, preferisce - e ne ha ben donde! - restare fuori. Ma dove si trova questo popolo dei Lestrigoni? Qui, ci informa il narratore, chi non dormisse mai prenderebbe due paghe: per esempio, se fosse pastore ne riceverebbe una riportando in città un gregge e, subito, una seconda uscendone con un altro al pascolo; questo «perché sono vicini i sentieri della notte e del giorno» (libro decimo, verso 86, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti). Il che significa che il narratore medesimo, o chi per lui (l'aedo? ma quale? non siamo forse in presenza di una cultura orale, meglio, auricolare, nella quale le paternità delle scoperte si perdono nella collettività delle voci?) riporta una esperienza eccezionale, impossibile per un uditorio che risieda stabilmente intorno al Mediterraneo o all'Egeo, quella cioè dell'aurora boreale, l'annullamento della separazione netta fra notte e dì. Ivi siamo giunti, fuori dall'esperienza quotidianamente controllabile, come eloquentemente dimostrato - ancora una volta - dal menu alimentare: i Lestrigoni sono giganti come il Ciclope, e come il Ciclope antropofagi (anzi, androfagi, mangiatori cioè di carne maschile), ma, a differenza di Polifemo, non afferrano i malcapitati stranieri sulla terraferma, bensì sull'acqua, colpendo con massi le navi intrappolate: «e come pesci infilzandoli, il pasto crudele via si portavano» (verso 124 stesso libro, medesima traduzione). Orrido davvero questo pasto, perché la società eroica del mondo omerico, cibandosi di carne di animali pascolanti sul suolo, aborre il pesce, abitatore del mare, quell'elemento acqueo primordiale da cui noi tutti proveniamo.
Quanto a Circe, troppo conosciuta è questa maga, per poterne dire qualcosa di nuovo - ed infatti, non si tratta affatto di inventare nulla, ma soltanto di ascoltare attentamente il testo. Prendiamo, come esempio illustre di un equivoco persistente, l'erba «moly», l'antidoto cioè che il dio Ermes fornisce ad Odisseo per resistere al tentativo di stregoneria della dea dalla voce incantevole: ebbene, se si presta attenzione, si scopre che l'eroe non adopera affatto tale accorgimento, mentre invece adotta con rigorosa obbedienza i comportamenti suggeriti dal dio medesimo, che gli ordina di snudare la spada e di minacciare di morte Circe. E allora? E allora siamo in presenza di una prova, bellissima, della cosiddetta "polifonia" dell'Odissea, vale a dire la compresenza, nel testo a noi pervenuto, di diversi filoni narrativi. Il racconto della fiaba, strato subliminale presente nella cultura universale, narra del giovane che, entrato nel bosco, viene aiutato da uno spirito benevolo ad affrontare l'orco (o l'orchessa): se il cattivo usa un'erba, sia una seconda erba l'arma vincente; Odisseo riceve l'erba «moly», poi, a sorpresa, dimentica di usarla … ma forse non è così. È molto più plausibile che ad un certo punto della trama sia prevalsa l'altra variante del mito, quella che leggiamo anche noi, oggi, nel 2008. La magia dell'erba resta sullo sfondo, mentre in primo piano trionfa il valore dell'eroe, ben testimoniato dalla spada, con la quale egli vince la gara contro il nemico, recuperando pure quei suoi compagni trasformati in maiali perché privi dell'arma decisiva della ragione. La lama affilata della spada altro non è che l'acutezza del pensiero, prerogativa che solo un capo, ed un capo come Odisseo, può possedere saldamente.