Ascoltare l'Odissea: Lotofagi, Ciclopi
21-02-2008 / A parer mio
di Claudio Cazzola
Ascoltare l'Odissea: lettura commentare in tre tempi
Giovedì 14 febbraio 2008 sono riprese le conversazioni incentrate sulla lettura dell'Odissea omerica, anche in preparazione allo spettacolo teatrale programmato presso il Teatro Comunale di Ferrara per il 20 maggio 2008, nell'ambito delle manifestazioni promosse per "Ferrara città del Rinascimento". In questo secondo ciclo verranno affrontati i temi relativi ai racconti di magia e di folklore, presenti nei libri 9-12 del poema omerico.
Lotofagi, Ciclopi
«Dimenticare il ritorno»: questo accade a noi uomini, tanto come singoli individui quanto come membri di una comunità grande o piccola che sia, allorchè perdiamo la nozione di noi stessi, inoltrandoci - senza accorgercene se non quando sia troppo tardi - nella selva oscura di dantesca memoria. Ivi, smarrita la ragione, incontriamo esseri strani, mostruosi, inconcepibili nel nostro mondo quotidiano, perché fanno parte di un mondo "altro", stando essi o sopra di noi ovvero sotto di noi, mai alla pari. La prima di queste esperienze favolose, presenti nei miti di tutti i popoli primitivi (come ha dimostrato una volta per tutte Denis Page), è costituita dal popolo dei Lotofagi. Essi non fanno, apparentemente, del male a nessuno, anzi, esercitano una ospitalità a senso unico (ecco il tratto che marca la diversità), non chiedono nulla allo straniero che si imbatte in loro, limitandosi ad offrire il cibo di cui si nutrono. Ecco appunto il problema, il grande problema, quello legato al menu praticato: se è vero l'antico assunto («dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei»), è altrettanto incontrovertibile che non è affatto il caso di passare disinvoltamente da una dieta all'altra: ma ciò regolarmente accade, quando varchiamo una soglia proibita - e non ce ne accorgiamo, perché è così vasto l'ingresso ( non ti inganni l'ampiezza dell'entrare
è sempre Dante). I compagni di Odisseo mangiano un cibo riservato agli abitatori dell'aldilà, un alimento, detto loto, la cui vera identità nessuno ovviamente conosce, ma che ha il potere appunto di impedire il ritorno al consorzio dei vivi; ma l'avventura deve proseguire, per cui Odisseo trascina via i malcapitati, in vista della seconda tappa del viaggio oltre la soglia del mondo orizzontale: la terra dei Ciclopi. Se nel contesto precedente è il loto il cibo proibito, qui lo sarà la carne umana, un pasto praticato in epoche arcaicissime, ben prima della organizzazione della città civile: è appunto l'antropofagia (o, meglio, l'androfagia = il cibarsi di carni umane maschili) il menu praticato da Polifemo, che rinchiude, quale balena immensa e vorace e spietata e incurante di ogni appello umanitario, Odisseo con i suoi compagni dentro il proprio ventre, simboleggiato dalla spaventosa pietra con cui chiude l'antro cavernoso ove abita con i suoi prediletti animali da pascolo. L'espediente per uscire vivi (non tutti) dall'enorme abisso non è tanto costituito dal troppo noto palo di legno di olivo che, reso incandescente, devasta il volto rotondo del ciclope (tale l'etimologia del nome = volto rotondo), quanto il gioco di parole escogitato dall'aedo omerico con il termine tis (vedi puntata di giovedi 13 dicembre 2007) preceduto dalla negazione ù oppure dalla negazione mé. Infatti Odisseo rifila, come proprio nome su esplicita domanda dell'avversario, il composto ù-tis (tradotto maldestramente con «nessuno»), mentre i fratelli ciclopi hanno capito benissimo cosa sia successo oltre la porta chiusa, e rispondono alla disperata richiesta di aiuto da parte di Polifemo: se è mé-tis che ti fa violenza, non hai scampo dal male che Zeus ti invia. Mé-tis (tradotto maldestramente pure questo con «nessuno»): ma mé-tis altro non è che metis, cioè l'intelligenza, la sagacia, l'arma della ragione, la grande alleata rappresentata dalla dea Atena, dea appunto della metis. Così il «piccoletto, mingherlino, da nulla» come indica il verso 515 del libro nono nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti ha la meglio sull'uomo immenso, altissimo, pari «a picco selvoso di eccelsi monti» (ivi, verso 191 e seguente, medesima traduzione). Siamo così sfuggiti anche a questa trappola, in attesa di incontrare i Lestrigoni.