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Ascoltare l'Odissea: Prova

13-05-2008 / A parer mio

di Claudio Cazzola

Lo straordinario carattere multiforme dell'eroe dell'Odissea si manifesta, oltre che nella abilità di maneggiare la parola, l'arco, il timone, anche nella conoscenza dell'arte della carpenteria. Odisseo costruttore provetto è l'immagine che risalta più di tutte alla fine, grazie al cosiddetto "riconoscimento supremo" collocato nel libro ventitreesimo, a conclusione della strage dei Pretendenti. Il raffinato gioco delle parti vuole che l'ultima battaglia sia quella dell'intelligenza: da un lato la regina di Itaca, premio promesso sotto giuramento al vincitore della gara, e dall'altro l'ultimo arrivato, il ben noto «pitocco», che fin dal libro tredicesimo ha subito pene inimmaginabili per l'orgoglio di un eroe, riuscendo però sempre a superarle senza cadere nel tranello delle normali debolezze umane. Eccoli dunque contrapposti l'uno all'altro i due personaggi, con il letto che fa da terzo incomodo: visto che la padrona di casa, irriducibile ad ogni sirena ammaliatrice, mantiene un atteggiamento di fermo rifiuto davanti alle esortazioni di Euriclea, fedele nutrice, e del figlio Telemaco a riconoscere nel vincitore il marito di un tempo, costui chiede che gli sia steso il letto (libro 23, v. 170 léchos) nella sala. Penelope non si lascia sfuggire il vocabolo, e rimanda al mittente il messaggio, con una sottile insinuazione in più:«Sì, il suo morbido letto stendigli, Eurìclea, / fuori dalla solida stanza, quello che fabbricò di sua mano; / qui stendetegli il morbido letto, e sopra gettate il trapunto, / e pelli di pecora e manti e drappi splendenti.» (libro, 23, vv. 177-180 traduzione, qui e sempre, di Rosa Calzecchi Onesti). Non un letto qualsiasi dunque, ma quello che fabbricò di sua mano (v. 177): ecco il tranello testo dalla regina, dentro il quale precipita vogliosamente lo straniero, che come al solito non vede l'ora di approfittare dell'occasione per una dettagliata relazione di alta competenza ingegneresca (vv. 190-204), quella della famosissima descrizione con cui si viene informati circa la costruzione di una stanza da letto intorno ad un albero - si noti l'eccezionalità del progetto: non è l'albero che viene estratto dalla radice per fornire legname atto alla edificazione del talamo nuziale, quando viceversa è quest'ultimo ad ergersi intorno alla pianta medesima. Attratti come siamo dalla partecipazione all'evento e desiderosi come siamo che finalmente crolli la resistenza di Penelope, rischiamo di lasciarci sfuggire l'elemento prezioso costituito dal tipo di albero qui utlizzato: «C'era un tronco ricco di fronde, d'olivo, dentro il cortile, / florido, rigoglioso; era grosso come colonna…» (vv. 190-1091) «… Ecco, questo segreto ti ho detto: e non so, / donna, se è ancora intatto il mio letto, o se ormai / qualcuno l'ha mosso, tagliando di sotto il piede d'olivo.» (vv. 202-204) - di olivo dunque si tratta, che non è una pianta qualsiasi, anzi, si tratta della pianta per eccellenza. Nel libro tredicesimo la nave dei Feaci attracca proprio nei pressi di una baia, in capo alla quale c'è un olivo frondoso (v. 102); l'uscita avventurosa dall'antro del Ciclope è possibile grazie alla presenza di un tronco verde d'olivo (libro 9, v. 320: vedi anche vv. 378, 382, 394); infine, la scure a due tagli con cui l'eroe si costruisce la zattera per abbandonare l'isola di Calipso ha un manico molto bello, d'olivo, solidamente incastrato (libro 5, v. 236). L'olivo è la pianta della salvezza, del riscatto, del passaggio verso la beatitudine, e non solo nella tradizione greca, ma anche in quella ebraica, cristiana e islamica, per cui vedi Corano, Sura 24, versetto 35: «Dio è la luce dei cieli e della terra. La sua luce è come quella di una lampada, collocata in una nicchia entro un vaso di cristallo simile ad una scintillante stella, e accesa grazie ad un albero benedetto, un ulivo, che non sta né ad oriente né ad occidente, il cui olio quasi illuminerebbe anche se non lo toccasse fuoco. È luce su luce» (Il Corano, traduzione e note di Martino Mario Moreno, Utet, Torino, 2005, pp. 319-320).
Luce su luce: l'esperienza suprema dell'appagamento totale, a seguito della quale vi può essere, solo e finalmente, la fine - e dell'avventura e della vita: e infatti proprio al v. 296 di questo libro ventitreesimo gli studiosi della Biblioteca di Alessandria d'Egitto collocano, da pari loro, la conclusione del poema. Ed il resto? Alla prossima (ed ultima) puntata.