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Incidenti sul lavoro, per fermare la strage una buona legge serve ma non basta

27-05-2008 / A parer mio

di Giuliano Guietti *

I dati sono noti: ogni anno in Italia avvengono quasi un milione di incidenti sul lavoro; ogni giorno muoiono mediamente quattro lavoratori.
La grande maggioranza di questi incidenti si registrano tra i lavoratori che svolgono i lavori più umili e più faticosi: tra i nuovi braccianti dell'agricoltura, tra i manovali delle costruzioni, tra i facchini delle ditte in appalto, tra gli operai più dequalificati dell'industria.
Spesso si tratta di lavoratori immigrati e spesso di lavoratori con assunzioni a termine, quando non addirittura irregolari.
E' un pezzo d'Italia che si vede poco, di cui normalmente i grandi mezzi di comunicazione non si occupano, tranne quando si verificano gli incidenti più gravi, come quello avvenuto qualche mese fa alla ThissenKrupp di Torino, dove alla fine i morti sono stati 7.
Anche a Ferrara è accaduto troppe volte negli ultimi mesi. Solo a titolo di esempio voglio ricordare il caso del giovane di 32 anni, dipendente di una ditta di facchinaggio, rimasto ucciso per soffocamento, sepolto dallo zucchero, mentre lavorava nei silos della Sfir di Pontelagoscuro.
Il sindacato si batte da molto tempo per ottenere provvedimenti che aiutino a combattere questo doloroso fenomeno, inaccettabile per un Paese come il nostro, che pretende d'essere un'avanguardia di civiltà e di democrazia.
Sappiamo bene che la legge non basta, perché assieme alla legge è necessario un cambiamento più profondo, della cultura e anche del sistema economico del nostro Paese. Ma una buona legge può aiutare.
E oggi in Italia finalmente possiamo dire che una buona legge c'è: è il decreto approvato il 1 aprile scorso dal Governo Prodi, praticamente l'ultimo atto del governo uscente, una specie di Testo Unico, che riorganizza tutte le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro; un buon testo, che il sindacato ha fortemente voluto e contribuito a definire.
Tra le novità più importanti contenute in questo testo, vorrei segnalare ad esempio il principio in base al quale le tutele previste si estendono a tutti i lavoratori, subordinati o autonomi, quale che sia il tipo di contratto con cui operano e il tipo di azienda nella quale prestano la loro attività; oppure il fatto che i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls) potranno essere eletti in tutte le aziende a prescindere dal numero dei dipendenti.
Infine c'è da mettere in rilievo che il vero cuore dei nuovi provvedimenti non sta tanto nella volontà di "sorvegliare e punire", quanto in quella di far crescere una nuova cultura della sicurezza attraverso la prevenzione, l'informazione e la formazione. Le sanzioni servono, perché in caso contrario la legge sarebbe un puro precetto morale, ma la partita decisiva si gioca nella stesura dei documenti sui rischi e nell'organizzazione pratica del lavoro.
Questo testo ha già però molti oppositori.
Prima di tutti Confindustria, che vorrebbe pene più miti, sanzioni più leggere per chi non rispetta le regole. Ma come? Non era il sindacato a dire sempre di no a qualsiasi novità? In questo caso è Confindustria invece ad opporsi fino alla fine, per difendere qualche piccolo interesse di parte, tanto più meschino di fronte alla gravità del problema.
Purtroppo anche qualche autorevole esponente della nuova maggioranza che ha vinto le ultime elezioni si è subito affannato a garantire che la nuova normativa sarà completamente rivista, per venire incontro alle esigenze delle imprese.
Difendere questa legge, ottenerne un'applicazione rigorosa sarà uno degli impegni principali del sindacato nei prossimi mesi.
Che non potrà però essere disgiunto dall'impegno per l'innovazione e qualificazione del nostro sistema economico e produttivo.
Nessuna legge sarà sufficiente a combattere la piaga degli infortuni sul lavoro, se la priorità assoluta resta per la grande maggioranza delle imprese quella di comprimere sempre e comunque i costi e i tempi, anche quando questo va a scapito di un tema così importante come quello della sicurezza.
Se l'Italia non inizia davvero a riprogettare se stessa mettendo al centro del proprio sistema economico e sociale fattori quali la conoscenza, la ricerca, l'innovazione tecnologica, la formazione, allora tutti gli sforzi che stiamo facendo rischieranno di essere vani.

*Segretario Generale Cgil Ferrara