Il peso del pensiero
05-09-2006 / A parer mio
di Giuliana Berengan
"Le tragedie politiche derivano da cattivi pensieri". Ascoltando il lucidissimo intervento di Massimo Cacciari che domenica 3 settembre ha aperto a Venezia la VII Giornata europea della Cultura ebraica ho annotato questa frase che, nella sua apparente semplicità, contiene, mi pare, un punto di vista rovesciante sulla contemporaneità. Nel momento in cui tutto si gioca su ciò che appare, sulla concretezza del fatto, del prodotto, sulle azioni risolutive demiurgicamente richieste a non sempre identificate o identificabili autorità ed istituzioni si insinua il dubbio che gli eventi, persino quelli di portata storica, dipendano dal pensiero individuale. Riaffiorano parole come coscienza, consapevolezza, responsabilità soggettiva mentre l'intero processo dell'agire torna a radicarsi nell'interiorità e il pensare ritrova la propria valenza etimologica di "pesare con cura". Se è lecito affermare, come sostiene Agnes Heller nel suo saggio su biopolitica e libertà, che noi non modifichiamo mai né la struttura esterna né quella interna della natura ma solo la comprensione che abbiamo di essa allora il pensiero si ripropone come arma straordinariamente potente e non priva di rischi. Un'azione sbagliata si può anche correggere, ma il pensiero resiste, si autoalimenta, si riproduce, si espande, non è arginabile e bisogna prendere sul serio ciò che uno dice più ancora di ciò che uno fa perché la parola è espressione del pensiero e se si tratta di un pensiero distruttivo prima o poi le parole si trasformeranno in azioni rovinose. La storia del Novecento fornisce esempi drammatici di che cosa abbia significato liquidare come parole deliranti le espressioni di un pensiero malvagio come quello hitleriano e staliniano. La facoltà di pensare è dote comune degli uomini che dovrebbero allenarla, esercitarla con determinazione almeno pari a quella con cui si dedicano al corpo al fine di costruire quella qualità della vita che è "dimora di libertà". E viene da chiedersi con una certa apprensione quale sia il fine di un mondo in cui sempre minore è lo spazio riservato allo scambio di parole "pesate" che non siano frutto dell'aggressione mediatica, dove sempre più esiguo è il tempo trascorso "in interiore homine". Il pensiero libero è pensiero consapevole di sé ma anche capace di confrontarsi con il pensiero differente e il confronto avviene attraverso la parola: c'è un atteggiamento del dire che è preludio del fare ma che trova alimento nel pensiero e da qui bisogna allontanare "i venti guerra".