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Affittasi identità

19-07-2006 / A parer mio

di Giuliana Berengan

Se alla cultura intesa come esperienza che unisce una collettività si sostituisce l'offerta di merci "culturali" proveniente dal mercato delle esperienze "guarda e getta" che cosa resta dell'identità che rende una persona, un luogo, un popolo "quello, proprio quello e non altro"? Quando la tecnologia non è più strumento di gestione dell'informazione bensì veicolo di relazioni e costruisce surrogati della sfera sociale avviluppati in involucri commerciali che cosa sopravvive delle relazioni interpersonali, della comunanza di interessi, delle mille sfumature dell'affettività, dei ricordi condivisi, insomma di tutti quelli che un tempo erano elementi caratterizzanti la vita di ciascuno in relazione alla propria sfera di appartenenza, risorse preziose sulle quali fondare la propria identità, parola che ha le sue radici etimologiche nel latino idem ovvero "proprio quello"? Nell'era della rete si può riscrivere la propria storia individuale e sociale; si può persino modificare il luogo della propria nascita e tagliare i legami con l'ambiente del quale "per natura" ci si è trovati a far parte. Oggi chiunque può permettersi di pagare il biglietto ha accesso al mondo, passato e presente, può "possederlo" interamente facendolo scorrere davanti ai propri occhi: l'ubiquità non è più un requisito divino. "Corriamo il rischio di diventare i primi nella storia in grado di rendere le proprie illusioni così vivide, pervasive e realistiche da poterci vivere dentro". Ma, come dice il sociologo Robert J. Lifton, è una "accessibilità che dà i brividi" anche perché non ha alcun precedente. Non si tratta soltanto di un dato tecnologico, è piuttosto un modo di essere, una nuova concezione dell'esistenza. E' un fenomeno sociale ed economico di portata sconvolgente poiché la cultura anziché unire può diventare puro strumento di affermazione individuale da praticare nel proprio isolamento e può tendenzialmente scavalcare qualunque legame di appartenenza al gruppo, al territorio, ad ogni forma di condivisione. Stiamo assistendo ad un cambiamento radicale del rapporto con lo spazio, da quello più privato a quello più ampio con i luoghi tradizionalmente adibiti alla socializzazione, fino ad arrivare al legame con la terra e "il posto" in cui si è nati o si è trascorsa una parte rilevante della vita. La "volatilità" del lavoro, dell'economia, la necessità di rendersi disponibili ad un nomadismo che porta a spostarsi laddove si aprono spazi e possibilità per una migliore qualità del vivere cambiano inevitabilmente il legame con quanto è "per sempre" e fanno vacillare l'attaccamento alle proprie radici. E si modifica anche il rapporto con il tempo, con la continuità e la durata nel momento in cui al lavoro sicuro, per tutta la vita si va sostituendo l'incarico "a progetto" ed il "just in time" è implicazione imprescindibile del nuovo mercato del lavoro. Stati, governi, differenze culturali e linguistiche, barriere interetniche non coincidono più con gli schemi interpretativi della realtà usati fino ad ora. Nel momento in cui saltano i confini geografici, si allentano le certezze spazio-temporali e la cultura si globalizza assistiamo ad una omogeneizzazione dei bisogni, delle aspirazioni, dei desideri pilotata dall'industria culturale il cui obiettivo è quello di creare con il cliente-consumatore rapporti di dipendenza sempre più stretti e intriganti che vanno a toccare la qualità dell'esistenza individuale e la visione del mondo collettiva. Jeremy Rifkin , riferendosi ai soggetti dell'oggi parla di un "nuovo archetipo umano" e dice così: "Questi uomini e queste donne non sono interessati alla storia bensì ossessionati dalla moda e dallo stile. Provano tutto e amano l'innovazione. D'altra parte nel loro ambiente in rapido e costante mutamento, costumi, convenzioni e tradizioni sono quasi inesistenti". Ed invero pare proprio che per questi individui sradicati dal tempo e dallo spazio non abbia alcun senso assumersi compiti di continuità rispetto ai predecessori e di testimonianza per i posteri. Tutto si gioca nel presente. Abbandonata ogni pretesa di missione storica vivono la loro sempre più rapida sequenza di esperienze monitorabili in una realtà simulata, meno impegnata ed impegnativa , fatta di brandelli di racconto e di temporaneo intrattenimento. L'industria culturale offre loro la possibilità di "acquistare" velocemente e senza fatica le esperienze vissute che non hanno più la voglia e il tempo di fare concretamente. Al lungo, doloroso lavoro che porta alla formazione della propria identità si sostituiscono delle "personalità molteplici", degli individui "proteiformi" che si relazionano in mondi creati da macchine partecipanti dove "sei quel che pretendi di essere". Una sorta di grande palcoscenico sul quale si possono studiare scene, costumi, testi per infinite rappresentazioni, ma in questo teatro gli attori presunti sono in realtà tutti spettatori paganti.