Parole dal Grande Oceano
18-03-2008 / A parer mio
di Giuliana Berengan
Ancora cinque mesi e poi la Cina sarebbe stata sugli schermi del mondo osannata per la meraviglia dei suoi spettacoli Olimpici e la bravura dei suoi atleti. Ed ecco che questo povero e irriducibile popolo tibetano si permette di turbare l'indifferente ed acquiescente equilibrio dei paesi ricchi e per bene con le sue indisciplinate rivendicazioni di libertà. Un piccolo paese forte soltanto della propria identità spirituale osa sfidare il colosso che ha letteralmente invaso lo scenario globale con il potere del denaro che travalica ogni ragione politica, etica, umanitaria. Quasi con rammarico l'Occidente è costretto a lasciar emergere ciò che la più parte degli Stati impegnati a difendere i rapporti economici con una potenza seconda solo agli Stati Uniti d'America aveva caparbiamente ignorato. Silenzio o risposte di facciata alle grida di protesta davanti alle Ambasciate, alle manifestazioni che chiedevano di boicottare le Olimpiadi di Pechino se prima non si fosse aperto uno spiraglio sulla causa tibetana. Di circostanza anche le risposte ai pacifici, ma costanti e determinati tentativi del Dalai Lama per richiamare l'attenzione dei Governi democratici sulla situazione del suo paese. Viene da dire che si fa prima a regalare un premio Nobel piuttosto che ad assumersi responsabilità politiche che potrebbero incrinare un assetto economico nel quale la Cina la fa ormai da padrone. Del resto l'Occidente non ha mai messo in discussione la visione nazionalistica che contraddistingue la politica cinese da quando Pechino è entrata a far parte della Commissione dei diritti umani nel 1982. Anzi ha continuato ad accettare che le violazioni dei diritti perpetrate ai danni del popolo tibetano così come delle altre numerose minoranze etniche rimanessero una faccenda di politica interna, sulla quale il governo cinese non ammette interferenze, protetto dietro la sua insindacabile sovranità che è anche oscuramento dell'informazione. Anche sui fatti che vanno accadendo in questi giorni i nostri telegiornali si soffermano sul presunto numero dei morti come se l'attacco alla libertà fosse solo una questione di numeri, omettono di denunciare le gravi, pesantissime colpe del regime post maoista, che anzi si permette di accusare i Tibetani di provocazione, sfumano sulle incerte prese di posizione dei Paesi democratici, sulle connivenze internazionali. Non dicono che le televisioni straniere che trasmettono dai luoghi della protesta come la Bbc e la Cnn vedono scomparire le immagini quando nei loro servizi parlano del Tibet. La comunità internazionale esprime condanna alla repressione ma tiene ben saldo l'imperativo di non mettere in discussione gli interessi miliardari che ruotano attorno ai Giochi Olimpici nonché quelli legati al mercato capitalistico nel suo complesso. E così l'invito al dialogo rivolto ad un paese che calpesta i diritti primari sembra piuttosto un tentativo di uscire indenne da ogni rischio di ordine economico. In una gara di saggezza e di tolleranza tutti, dal candidato alle presidenziali americane Obama fino al cancelliere Angela Merkel si affannano a dire che il boicottaggio non risolverebbe nulla. E si unisce al coro anche il ministro degli Esteri D'Alema che chiede prudenza mentre è assordante il silenzio delle Chiese che si definiscono portatrici di pace. Il ritorno alla stabilità da molti auspicato appare la condizione imprescindibile perché la grande industria, italiana e non, possa continuare a servirsi del lavoro a basso costo sotto la protezione dello Stato cinese. Non entro nel merito delle iniziative da prendere perché ciascuno deve fare i conti con la propria coscienza libera e con il coraggio delle proprie idee, ma credo che sia necessario dar vita ad un movimento d'opinione quanto più vasto possibile, che denunci le violazioni dei diritti umani, che crei un pensiero difensivo cosicché nessuno possa impunemente decidere della vita di un popolo, che sveli la violenza nascosta nelle ideologie. Lavoriamo anche individualmente per creare una forte coscienza, facciamo sentire le nostre voci, facciamo giungere il nostro pensiero alle Istituzioni nazionali ed internazionali. Il nostro atteggiamento, l'atteggiamento dell'Occidente sono importanti per impedire il genocidio culturale e umano del Tibet. Quando a Dicembre ho avuto l'onore di incontrare Sua Santità il Dalai Lama a Milano ho annotato quelle che egli considera parole chiave per realizzare a pieno la pace dei popoli: disarmo interiore, compassione, cuore puro, mente quieta, armonia, ma anche realismo, consapevolezza e impegno. Riproporre e salvare queste parole è il mio primo contributo alla causa tibetana.