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Il Trionfo è un gioco da imbroglioni

15-06-2006 / A parer mio

di Fausto Natali

Una sola parola: «Piombo!». E di colpo l'atmosfera è cambiata. Io e il mio compagno di gioco abbiamo lentamente alzato lo sguardo dalle carte e l'abbiamo osservato. Stava li come se niente fosse, con un sorrisino da deficiente che avresti avuto voglia di spegnergli in mille modi indescrivibili. Eravamo pronti ad annientarli con una sequenza infinita di carte franche e invece lui tira fuori un piombo e ci rovina la festa. Il suo compagno è anche peggio perché, non solo si associa al beffardo sorrisino, ma ci schernisce con l'atteggiamento di chi trova tutto questo assolutamente normale. «Normale tua deda» gli ho ringhiato. Lui mi ha squadrato perplesso e, senza battere ciglio, ha incamerato la mano.
La nebbia in Val Padana, le "cose che a dirle non ci credi", l'oppressione del "Caporale", questa volta riguarda il gioco di carte più amato dai ferraresi. Un Grande Conservatore simbolizzato da quaranta cartoncini che hanno la capacità di annullare ogni resistenza e di invischiarci in una spirale perversa nella quale l'unica regola è l'intrigo, il complotto, l'imbroglio...
Avete mai giocato a Trionfo? Sapete cos'è una "cricca"? Avete mai esclamato, con aria fintamente disinvolta, «Piombo!». No? Allora lasciate perdere e continuate a giocare a rubamazzo, perché questo mini-pamphlet è riservato a chi ha provato l'entusiasmante emozione di scendere per primo con un Asso senza timore di farselo mangiare da un Due bastardo o da un Tre arrogante (i Due passi, ma i Tre proprio non li sopporto... quando sono nella mani degli altri, ovviamente).
Anzi, facciamo un test. Se vi dico «ciapa e torna», voi con quale carta scendete? Se, senza indugio, anzi con un briciolo di prepotenza, mettete giù uno di quegli arroganti Tre che denigravo poc'anzi proseguite nella lettura, in tutti gli altri casi lasciate perdere, perché un buon compagno deve sempre avere il Tre quando serve.
Credo che il titolo sia abbastanza esplicito, ma per non essere scambiato per un gratuito denigratore del più popolare gioco di carte ferrarese e non urtare la suscettibilità dei suoi più accaniti sostenitori sarà bene chiarire alcuni punti particolarmente delicati.
Innanzitutto va detto che il Trionfo non è solo un gioco di carte, ma molto di più. È passione, mistero, scienza e, in parte, anche fede. È la madeleine di Proust, il Rosebud di Orson Wells, la mitica Numero Uno di Paperon de' Paperoni. È il ricordo di interi pomeriggi trascorsi a consumare un mazzo da quaranta di romagnole (o di piacentine - de gustibus...) e a connettersi telepaticamente con il proprio compagno per indurlo a "mettere" a denari (ma quasi sempre lui metteva a coppe... «Busgàt... c'ho solo il Fante e il Sei. Allora vuoi proprio perdere!»).
Il Trionfo è una straordinaria alternanza di (brevi) istanti entusiasmanti e di (lunghi) momenti di infinito avvilimento. Vi è mai capitato di scendere col venticinque e di vedervi scappare l'Asso sotto il naso per colpa di un quattro di Trionfo? O di perdere la partita per una figura che avete ignominiosamente buttato via nelle prime mani? Se la risposta è si, allora sapete cosa intendo con infinito avvilimento, se la risposta è no, continuate a giocare e vedrete che prima o poi capirete. Quando vi succederà chiamatemi perché voglio esserci.
Il Trionfo è il gioco che maggiormente ha inciso nella formazione del mio carattere e della mia "filosofia di vita". Sembrano parole grosse (e forse lo sono, anzi, senza forse), ma se avrete la pazienza di andare avanti nella lettura vedrete che tutto questo vale anche per voi, in particolare per voi. Grazie al Trionfo, ad esempio, ho afferrato il senso di una frase che mio nonno mi ripeteva ossessivamente ogni volta che andavo a trovarlo: «Arcòrdat - diceva alzando la zanetta in segno di monito - che in tlà vita, con tri scartìn a sa strìonfa sémpar!». Quanta saggezza in così poche parole.
Nel titolo sono categorico: il Trionfo è un gioco per imbroglioni, per bari, per lestofanti, per ingannatori, per gabbamondo, per chi non prova nessun rimorso a strizzare un occhio per segnalare al compagno un'abbondanza a spade o una franca a coppe. Sono categorico, ma ammetto repliche, perché sono anche democratico.
Quando ho cominciato a pensare di scrivere queste note sul "gioco dei giochi" ferrarese ho sottoposto la questione ad amici e parenti, per la maggior parte veri cultori della disciplina (o almeno tali essi si ritengono). Immancabilmente la reazione è stata velenosa: «Ma cosa dici? Straparli! Il Trionfo non è assolutamente un gioco per disonesti. Piuttosto va classificato fra i giochi per persone intelligenti, sveglie, accorte, furbe!».
Proprio qui vi volevo! Furbe è l'aggettivo giusto! La mia tesi viene confermata proprio dal tentativo di opporvisi. È vero, il Trionfo è per gente furba, scaltra, sgamata, e un po' carogna. Per tagliare corto, il Trionfo è un gioco potenzialmente straordinario, trascinante, coinvolgente, ma che non può essere giocato lealmente, perché andrebbe contro la sua natura. Non è proprio possibile pensare di sedersi ad un tavolo e non assistere a patetici tentativi di segnalazioni incrociate. Spesso volutamente, a volte inconsciamente, la mano getta la carta con quella leggera inclinazione del polso che impone categoricamente: «Torna a coppe perché c'ho il Due franco e gli mangiamo l'Asso!» Altre volte, più o meno inavvertitamente, mentre la carta lentamente si posa, il corpo assume una strana posizione, contorta, sofferente, tormentata, quasi a sottolineare la difficoltà di un Asso "messo male" che non si ha intenzione di mollare per nessun motivo, neppure sotto la minaccia di una intervista con Marzullo. In altre circostanze i piedi sembrano indemoniati e colpiscono ripetutamente (e "involontariamente") il ginocchio del compagno, al punto che si contano più menischi da rifare fra i giocatori di Trionfo che fra i calciatori.
In queste situazioni, se fate tanto di comportarvi onestamente passate per fessi (l'è tant bon che al par un...), se invece cedete alla tentazione e vi adattate all'andazzo siete degli imbroglioni: Come Volevasi Dimostrare.
A questo punto vi invito ad autoclassificarvi. Dove vi collocate? Fra i primi o fra i secondi?
Che vi dicevo? Vedete che ho ragione io!