Frigoriferi carducciani
31-10-2006 / A parer mio
di Andrea Poli
All'occhio di un osservatore superficiale la massa di rifiuti domestici che stazionano allegramente nei pressi dei cassonetti dell'immondizia del centro cittadino e della sua immediata periferia-carcasse di lavatrici, materassi generosamente alonati di giallo, batterie da camion, armadi in truciolato con brandelli di specchio che incombono come spade di Damocle, comode di invalidi trapassati a miglior vita, lattoni ripieni di olio di frittura- colà deposti a rischio di ernia del disco da solerti cittadini, può sembrare un sintomo di scarso senso civico: e che, da voi vengono mica quelli del pattume a ritirare la roba usata a casa anziché abbandonarla lungo le strade? Certo che quelli del pattume vengono, e anche gratis se è per quello; ma volete mettere la poesia dei frigoriferi combinati che si stagliano alti e struggenti contro il tramonto come i cipressi che a Bòlgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar di carducciana memoria e invitano alla sosta e alla meditazione il passante frettoloso? "Nidi portiamo ancor di rusignoli: / deh perché fuggi rapido così? / Le passere la sera intreccian voli / a noi d'intorno ancora. Oh resta qui!". Così finisce che la gente, intenerita, si ferma e raccoglie un motore da trasformare in mola, un ripiano in vetro temperato, un portauova, hai visto mai che mi si rompa il mio di casa. Per non parlare dello straordinario valore artistico dei water color champagne che occhieggiano dalle scoline delle strade di campagna, ormai avviluppati dalla rigogliosa vegetazione di rovi e ortiche della pianura come i teocalli aztechi nelle foreste del Messico; tempo un mezzo migliaio di anni e arriveranno scorrierate di turisti ad ammirare queste pregnanti testimonianze della nostra epoca: "E qui potete notare un fortunato ritrovamento di vasi Dolomite in un sito archeologico contenente pure frammenti di bimattoni, residui di cemento a presa rapida e persino un rubinetto dell'acqua calda quasi intatto".
Del resto, amici lettori, quella di lasciare tracce del proprio passaggio è una ambizione comune a tutte le società umane: gli etruschi hanno consegnato all'umanità le tombe affrescate coi balsamari in onice, i miei vicini di casa i sacchetti di patatine vuoti in giardino (il mio). Come si può ben comprendere, ognuno lascia le tracce più consone al proprio livello di civiltà; come i non rari automobilisti fumatori, la cui rara maestrìa li rende capaci di disseminare lungo l'asfalto, a tutto beneficio dei posteri, inconfutabili indizi della loro esistenza terrena secondo la sequenza ultima cicca del pacchetto-pacchetto vuoto-incarto di cellofan-carta stagnola-prima cicca del pacchetto nuovo. Facendo vivamente sperare i testimoni del grandioso evento che anche loro finiscano quanto prima in una tomba coi loro prestigiosi reperti archeologici dell'Era Del Tabacco. Possibilmente vivi, non so se ci siamo capiti.