Ulisse in via Muzzina
10-06-2008 / A parer mio
di Claudio Cazzola
Quando il porto di Ferrara sta, con i suoi sette attracchi per le navi onerarie, lungo la via Ripagrande, tutta la zona formata dalle strade che ivi convergono è denominata «quartiere dei soldati», marcato dai cittadini cioè pronti alla difesa della città in caso di attacco militare: il 'campiello' ancora esistente prende nome dalla chiesa, sconsacrata, di San Nicolò. Sul lato sinistro di chi la guarda di fronte si erge la struttura dell'antico monastero, con le sue dipendenze ed i suoi magazzini, ancora intuibili nelle linee architettoniche dagli archi che spuntano ove l'intonaco viene a mancare: qui, dietro un minuscolo ingresso quasi impercettibile (ma tu hai suonato al maestoso portone di olmo, indurito ma non domato dalle offese del tempo, che affaccia in via Muzzina), si apre uno dei mitici cortili ferraresi ben noti nella loro segretezza. È in terra battuta, leggermente ondulato, ingentilito da oleandri discreti, dietro i quali si intravedono gelose abitazioni private oltre il loggiato; sulla destra, in uno degli ambienti conventuali adibiti nel corso dei secoli a mansioni le più diverse - ultima in ordine di tempo una autocarrozzeria - si apre l'officina di Sergio Zanni. Al centro dello spazio, circondato dagli attrezzi di lavoro, si erge un colosso di oltre tre metri, pronto per essere fuso in bronzo, destinato allo spazio acqueo antistante la Biblioteca Civica di Pontedera: un Auriga, delfico sì, ma che non possiede la certezza classica della via giusta, ed è lì allora per ammonire tutti a cercarla, eticamente, pena la catastrofe dell'umanità. Ti accolgono subito le mani dell'artista, e non puoi non notarle: vigorose, calde, solcate dalla polvere bianca della materia prima del suo lavoro di scultore - mani che furono, un tempo, di Giuseppe, di mastro Geppetto, di Ulisse (l'Odisseo greco), mani da carpentiere, da costruttore demiurgico di figure matrici della nostra storia umana. Tutte le religioni che stanno a monte del nostro presente ci dicono che siamo indistantemente pellegrini, alla ricerca sempre provvisoria del nostro punto di partenza, di cui abbiamo inestinguibile sete di nostalgia; e le strade che percorriamo possono essere terrestri (ed ecco il romeo), acquee (ed ecco il palombaro), aeree (ed ecco l'aviatore). La sintesi di tutte queste epifanie del nostro incessante andare è individuata da Sergio con antica sapienza nel personaggio di Ulisse, declinato secondo le molteplici letture rese lecite proprio dall'essere Ulisse «molteplice»: coperta da pitocco su cui spuntano le teste dei compagni perduti sul braccio sinistro reclinato, e casetta appesa alla mano destra dall'altro braccio teso lungo il corpo; legato a mo' di «Christus patiens» all'albero della nave-croce per subire l'esperienza suprema dell'ascolto del canto delle Sirene; pieno il corpo di linee scavate (le sofferenze? I corsi d'acqua affrontati? Il labirinto inestricabile della vita?) e, legata dietro con un minuscolo filo, una «picciola barca»; e, motivo di tuffo al cuore, la morte dell'eroe colpito alle spalle, a tradimento, con una pistola impugnata dalla mano sinistra (il lato del diavolo) del sicario (che tiene negligentemente nella tasca della giacca la mano destra). L'abbiamo appena goduto nella splendida atmosfera del nostro Teatro Comunale qualche sera fa, l'enigma dell'Odissea, ed ora lo ritroviamo qui.
In via Muzzina, a Ferrara.
Nella nostra Ferrara.
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Nota (per il lettore curioso)
Se vuoi saperne di più e meglio, vedi Sergio Zanni, Di Ulisse e d'altri viandanti, Skira, Milano, 2006.