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Sacrifici e nuova "maturità", un faro nella nebbia di una scuola alla deriva

17-08-2006 / A parer mio

di Stefano Gargioni

Il sacrificio è una categoria dello spirito ormai obsoleta. L'idea che si debba pagare un prezzo in termini di impegno personale per ottenere qualcosa che si desidera; che il "sudore della fronte" sia il viatico del successo o, quantomeno, dell'"honeste vivere" e con esso della stima e del rispetto da parte di chi ci sta attorno; che la via per il paradiso sia inevitabilmente stretta e tortuosa e non, viceversa, larga e lastricata di buone intenzioni, sta definitivamente tramontando. Lo si è visto - e lo si è letto - anche quest'anno sui volti dei ragazzi che hanno affrontato, nella mia come nelle altre scuole della Repubblica, il logoro e vetusto rituale degli Esami di Stato. Perché faticare tanto se il "pezzo di carta" è ormai quasi un atto dovuto? Perché macerarsi sui libri lungo i giorni torridi del solstizio se se si ha la certezza che si taglierà il traguardo della "maturità" per il solo fatto di aver partecipato? Prima Berlinguer, abolendo lo scrutinio di ammissione e introducendo un meccanismo complicato e cervellotico per il calcolo del punteggio finale, poi la Moratti, disponendo che le commissioni d'esame fossero composte soltanto da docenti interni, avevano dato la loro bella picconata a quel poco di serietà e rigore che rimaneva ad un rito che un tempo neanche troppo lontano aveva ancora il senso di una radicale soluzione di continuità, il significato di un "passaggio" dalla spensierata età dell'adolescenza e della prima giovinezza a quella adulta, fatta di speranze, ma anche di impegno e responsabilità.
Oggi, finalmente, pare che ci sia la volontà di "tornare indietro" per "andare avanti". Ripristino degli scrutini di ammissione; un Presidente di commissione per non più di due classi, anziché per tutto l'Istituto; commissioni composte per metà di docenti interni e per metà di esterni; disco rosso per chi, al termine dell'ultimo anno, non presenti la sufficienza in tutte le materie e non abbia superato i debiti formativi cumulati negli anni precedenti; maggior peso al curricolo scolastico dello studente, rispetto ai risultati, spesso aleatori, delle prove finali; valorizzazione del merito, con crediti ai più bravi, "spendibili" sul mercato del lavoro e nei percorsi universitari e di alta formazione successivi al conseguimento del titolo. Questo è quello che emerge dal disegno di legge presentato ai primi di agosto dal Ministro Fioroni in Consiglio dei Ministri. Ora la parola passa al Parlamento, che dovrà fare in fretta, se vorrà dare certezze agli studenti e alle loro famiglie all'inizio dell'ormai imminente nuovo anno scolastico.
La speranza è che alle promesse seguano i fatti e dalle aule di Montecitorio e Palazzo Madama esca una riforma dignitosa e non il solito pateracchio indigesto. La scuola, in un momento di incertezze come questo, ha bisogno più che mai di un segnale che indichi un'inversione di tendenza. La serietà e il rigore del sistema formativo nazionale non sono soltanto prezzi da pagare all'Europa e al Mondo per rimanere al passo con i Paesi più industrializzati e non scivolare inesorabilmente verso il terzo mondo. Sono lo specchio di una società disposta ad investire nella cultura e dunque a credere in se stessa. Sta passando l'ultimo treno: avrà l'Italia il coraggio di non lasciarselo sfuggire?