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Estremismo

17-10-2006 / A parer mio

di Girolamo De Michele

Sul finire dello scorso anno scolastico mi sono ritrovato in mano due giornali studenteschi. Il primo si chiama Il bacillo anarchico, ed è, evidentemente, un foglio anarchico. Me lo hanno venduto a un concerto dei ragazzi sorridenti e un po' timorosi (o forse solo stupiti di vedere un "vecchietto" a un concerto punk): come che sia, erano a viso scoperto. Un foglio dichiaratamente estremistico, nel quale ho ritrovato echi di discussioni che appassionarono non solo le frange estreme della mia generazione, ma anche intellettuali di valore: mi sono così ritrovato a pensare alla provocatoria proposta di "descolarizzare la società" lanciata da Illich e Pasolini, e a meditare sul perché oggi quella proposta suoni più estremistica di quanto non fosse e non sia. Chissà come queste idee sono sopravvissute fino a questi ragazzi, e chissà perché solo sembrano parlare di questi temi, che erano e sono importanti. Il secondo giornale, invece, è misteriosamente comparso sulla mia cattedra (eppure ero di prima ora, quel giorno), lasciato da una mano anonima che non intendeva mostrarsi in pubblico. Anche il foglio è, in un certo senso anonimo: è evidentemente prodotto da una congrega politico-confessionale di facile identificazione, epperò non c'è stato verso di trovarne il nome stampato. Se le parole fossero pietre, si direbbe un sasso scagliato da una mano che ama nascondersi: e dunque, per non far torto ai suoi autori, non lo nominerò. In questo foglio più di qualcosa mi ha irritato, a partire dall'incongrua esaltazione (sino all'attribuzione di un valore importante come l'onore) di una delle squadre che ha contribuito a taroccare il leale svolgimento del campionato di calcio (tanto può la voce del padrone?, mi è venuto di chiedermi). Ma, ben più di queste piccolezze, ad irritarmi è stato un passo che riporto nella sua interezza: «[...] basta pensare al quasi 20% di estremismi [sic!] che popoleranno il Parlamento, cosa faranno? Con gli estremismi (di destra e di sinistra) non si costruisce perché non sono attenti a noi, ma solo alla loro idea che esaltano all'infinito, anche se questo comporta la distruzione dei negozi del centro di una città come Milano. Queste persone non ci serviranno, nel senso più letterale del termine, cioè non saranno servitori delle nostre esigenze come dovrebbe essere in uno Stato sociale». Il nostro commentatore sembra convinto che (a) gli estremisti (tutti) esaltano all'infinito la loro idea, e (b) quelli che spaccano le vetrine nel centro di Milano (cioè alcuni individui) esaltano all'infinito la propria idea; dunque (c) tutti gli estremisti vanno a spaccare le vetrine nel centro di Milano, ovvero (c') quelli che non vanno a spaccare le vetrine nel centro di Milano non sono estremisti. In verità la conclusione, se della logica non venisse fatta strame (assieme all'italiano e alla matematica) sarebbe: (d) alcuni estremisti vanno a spaccare le vetrine..., da cui non segue alcuna generalizzazione. Ma lasciamo da parte la logica: cosa c'è di inquietante in un simile pensiero? Molto, forse troppo. Se il 20% dei deputati rappresentano una certa idea (diciamo pure che quest'idea sia estremistica, e dunque che siano estremisti i suoi rappresentanti), non dobbiamo riconoscere, finché siamo in democrazia, che quest'idea (che può piacere o non piacere) rappresenta un italiano su cinque? E che dunque è non solo giusto, ma anche doveroso che abbia cittadinanza tra le altre idee? Che, cioè, tutte le idee presenti nella società siano rappresentate in parlamento, che è appunto il luogo in cui attraverso la discussione si giunge alla sintesi politica tra diverse posizioni? Nello stesso giornale si trovano giudizi positivi sulla dinastia degli Asburgo e su Carlo V («un'ancora di salvezza dell'Europa cristiana»): sovrani che hanno condotto guerre decennali perché in tutta l'Europa fosse imposta un'unica religione, professata secondo un unico credo - e tanto peggio per chi era di un'altra fede, o di un altro credo, o semplicemente credeva di dover pensare con la propria testa: non erano, quei sovrani, fanaticamente estremisti - di un estremismo fiammeggiante, illuminato dai roghi degli eretici e dei liberi pensatori?
Ma poi, ripensando a come certe idee appaiano oggi estremistiche mentre ieri non lo erano, ho realizzato che a volte accade anche il contrario. Il presidente della Camera è probabilmente agli occhi del nostro commentatore (non ai miei) un estremista (e credo che a lui questa definizione non dispiaccia). Questo pericoloso estremista ha citato, nel suo discorso di insediamento, due suoi (e miei, e spero anche di altri) Maestri: don Milani e Piero Calamandrei. Quando ero bambino, in una famiglia piena di insegnanti e direttori didattici, a casa mia si mangiava a pane e don Milani, e il pane di don Milani l'ho visto, io che avevo la fortuna di studiare in una scuola di città, nelle scuole di paese o nei doposcuola serali dove a volte accompagnavo i miei. E su Calamandrei ho fatto il tema dell'esame di terza media, commentando a memoria Il monumento epigrafe che avevo letto e riletto da solo, perché nessuno dei brani studiati mi era piaciuto di più. Calamandrei e don Milani: due liberi pensatori dalla testa dura, anzi durissima, con i quali non era facile ragionare. Racconta Dossetti che, durante la scrittura della Costituzione, per far ragionare Calamandrei toccava ricorrere a Togliatti (che era entrato nella Costituente con fama di estremista e fu il grande mediatore, sin troppo forse). Il quale usava un trucco da uomo di cultura: per far ragionare un fiorentino, sosteneva, non c'è altro metodo che citargli Dante (altro estremista dalla testa dura!). E così, a colpi di versi della Commedia, Calamandrei moderava il suo estremismo, si ricomponeva l'assemblea e un altro articolo della Costituzione poteva essere scritto. Che tipo di estremista era Calamandrei? Non certo di "estrema sinistra", né di destra, estrema o moderata. E del resto: chi dice che gli "estremismi" siano solo di destra o di sinistra? A me sembra che esistano anche estremisti "di centro" - ma questa è un'altra storia. Torniamo a Calamandrei. Il suo estremismo costituzionale consisteva in una doppia radicalità: aveva idee radicali, e su queste radicava il suo pensiero e la sua azione. Aveva una coscienza estrema della situazione politica e sociale, e aveva un modello ideale come bussola per navigare. Aveva, insomma, una coscienza morale che gli permetteva di agire coerentemente col suo pensiero, ma anche di prendere coscienza del disaccordo che tra valori e comportamento può darsi: ed è per questo che poteva, da estremista rigoroso, giungere al compromesso. Che era di alto livello (come lo è, quasi sempre, il compromesso costituzionale), perché non partiva dallo svilimento a priori dei propri ideali. Eppure fatichiamo a collocarlo accanto ad altri "estremisti". Perché? Perché siamo portati a far coincidere "estremismo" con "fanatismo", il che non sempre accade: tutti i fanatici sono estremisti, ma non tutti gli estremisti sono fanatici (così come è senz'altro estremista chi spacca una vetrina, ma non ogni estremista va in giro a spaccare vetrine). A Calamandrei mancava qualcosa di essenziale nella coscienza del fanatico: mancava il moralismo, cioè quell'errore tipico (cito da un passo di Fortini fatto proprio da Calvino) «di chi nega debbano o possano esistere valori e comportamenti altri da quelli che la moralità ha presenti in quel momento dato». Aveva una visione estremistica, ma la coniugava con una pratica empirica e, soprattutto, lungimirante. Era - ecco, ho trovato finalmente la definizione - un estremista laico.