Comune di Ferrara

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Il valore della tolleranza

20-07-2007 / A parer mio

di Andrea Botti

I ferraresi sono tolleranti verso il sempre più esteso flusso migratorio in arrivo? Se guardiamo con attenzione a quanto sta accadendo a livello locale già da diverso tempo, sembra non ci siano dubbi: a mio parere la risposta all'interrogativo è "no", non lo sono principalmente quanti vivono in aree della città dove la presenza di extracomunitari è rilevante. A volte - è già accaduto qui a Ferrara - riusciamo persino a sfiorare manifestazioni di xenofobia. Le vicende legate al centro di accoglienza per immigrati realizzato da don Domenico Bedin nei locali attigui alla sua chiesa parrocchiale fra via Mambro e viale Krasnodar e il caso del grattacielo e aree adiacenti, fino alla stazione ferroviaria, sono due esempi che ci dimostrano in maniera eloquente di quanto scarsa sia la tolleranza nella nostra città. Dalle lettere sui quotidiani locali, alle petizioni, dagli esposti fino alle intimidazioni. Ferrara intesa come municipalità, come amministrazione pubblica, invece offre tuttora e ha sempre offerto, servizi indirizzati all'agevolazione dei processi di integrazione con la nostra realtà, mediante aiuti particolarmente significativi verso l'ambito familiare, verso i minori e le donne. A Ferrara inoltre gli immigrati sono ammessi alle graduatorie per l'assegnazione di alloggi Acer (Azienda casa Emilia Romagna) e di abitazioni di edilizia pubblica ne beneficiano così, legittimamente, tanti nuclei familiari stranieri. Positiva infine l'integrazione a livello educativo scolastico.
Certamente il numero in costante crescita anche a Ferrara di cittadini extracomunitari in parte clandestini qualche problema lo produce, soprattutto sul versante della microcriminalità: furti il più delle volte di piccola entità, scippi, spaccio di sostanze stupefacenti e anche sfruttamento della prostituzione. Ma a mio parere si esagera quando si guarda a questo popolo di disperati e lo si individua sommariamente come un esercito di malavitosi allo sbando, pronti a tutto pur di racimolare il necessario per sopravvivere. Molti immigrati invece si sono inseriti con buoni risultati trovando lavoro soprattutto nell'edilizia e nei servizi. Non dimentichiamo a questo proposito che certe attività imprenditoriali vanno avanti essenzialmente grazie alla manodopera di extracomunitari. Spesso si tratta di lavori umili e molto faticosi che gli italiani rifiutano o li abbandonano dopo brevi esperienze.
Complesso si presenta anzitutto il problema dell'accoglienza, fin dal momento in cui gli immigrati sono appena arrivati dopo interminabili ed avventurosi viaggi lungo i deserti e il mare, sbarcati al largo delle coste siciliane da scafisti senza scrupoli. Chi riesce a sottrarsi al "ricovero" presso i centri di permanenza temporanea che in concreto sono una via di mezzo fra un carcere e una caserma, si spinge dove può, magari nel tentativo di ricongiungersi con qualche familiare. Storie drammatiche che don Domenico, al quale i suoi ospiti si confidano, memorizza e documenta, storie che dovrebbero essere rese pubbliche magari attraverso un dossier, come testimonianza non solo per chi rivolge attenzione e sensibilità a queste vicende, ma soprattutto a chi contesta, spesso con toni aspri, le iniziative messe in campo dal volontariato, in testa a tutte gli straordinari servizi della Caritas diocesana e quelli realizzati dall'associazione Viale K istituita dal parroco della chiesa dedicata a S.Agostino la cui opera dovrebbe essere vista come una missione all'interno della città ed è invece fortemente contestata da comitati, sostenuti in qualche caso da esponenti politici di centrodestra. Anche per queste totali chiusure la città ancora non è riuscita a creare una struttura in grado di affrontare almeno le emergenze più gravi. Va ricordato e sottolineato a questo proposito che tutte le proposte, tutti i progetti elaborati dall'amministrazione comunale per destinare edifici periferici almeno a funzioni di asilo notturno per chi non ha un tetto e vive l'emarginazione più profonda, sono naufragati per la reazione degli abitanti delle zone in cui i centri di accoglienza pubblici sarebbero dovuti sorgere: prima nel quartiere Doro e più recentemente in via S. Giacomo, dove il comune aveva deciso di aprire la struttura in un edificio dismesso delle Ferrovie dello Stato. Quindi progetto sempre in alto mare mentre anche l'unica realtà di assistenza locale - quella promossa da don Bedin e dal suo gruppo - si trova al centro di pesanti polemiche proprio in questi giorni. Un confronto con i promotori della petizione tesa a far chiudere difficilmente può trovare spazi di discussione e quando si cerca democraticamente di spiegare che quella povera gente merita almeno un pizzico di solidarietà, la risposta è perentoria: "Se le attività di don Bedin fossero vicine a casa vostra, ragionereste in modo diverso…".
Ci rendiamo conto che la situazione ha certamente dei risvolti che portano a una convivenza difficile, ma non ci risulta che in questa città si siano registrati episodi di particolare allarme. Anche il caso del grattacielo nei confronti del quale l'amministrazione municipale e altri istituzioni sono intervenuti con diverse iniziative tendenti alla socializzazione, pare abbia portato al superamento di un clima che nei mesi scorsi aveva toccato momenti di forte tensione. Tra i giardini delle due torri e la stazione di sera permane il fenomeno del piccolo smercio di droga, ma lo stesso accade in altri quartieri ancor più centrali e non sempre il traffico vede come protagonisti degli stranieri.
In chiusura ritengo sia opportuno ricordare che Ferrara fu tra le prime città della regione a realizzare un piccolo centro di accoglienza temporanea per extracomunitari. Venne localizzato in una palazzina di via Benvenuto Tisi da Garofalo e fu chiuso dopo circa un anno di attività in conseguenza di un criminale attentato notturno operato da un gruppo di giovani di indole razzista che lanciarono bottiglie incendiarie dentro l'edificio che in quel momento ospitava una decina di persone. Si salvarono grazie al tempestivo intervento dei vigili del fuoco e della polizia. I teppisti - tutti studenti liceali - vennero arrestati. Ma la sicurezza del centro e dei suoi ospiti che dopo l'attentato incendiario fu affidato a un servizio di vigilanza notturna privata i cui costi il comune non riuscì ad affrontare a lungo tanto che il servizio venne interrotto. Non possiamo non soffermarci, per un attimo, a ricordare le vittime innocenti dell'ultima tragedia avvenuta a poche miglia da Lampedusa costata la vita a dieci persone, quaranta i dispersi fra cui donne e bambini. Viaggiavano su un vecchio natante salpato da un porto libico, naufragato in prossimità della Sicilia mentre si avvicinava loro una motovedetta della Marina. Il terrore e l'angoscia che traspariva dai volti degli scampati attraverso le immagini dei filmati di tutti i telegiornali di sabato 19 agosto, dovrebbero indurre a una maggiore comprensione. Dovrebbero aiutarci, credo, a capire meglio un fenomeno dai risvolti drammatici di cui il Paese si deve far carico mediante normative snelle ed efficaci orientate anche a tutelare la dignità di quel popolo di disperati che lascia le proprie terre alla ricerca di una speranza a cui aggrapparsi, per continuare a vivere.