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L'esigenza di immaginare un mondo migliore

07-10-2006 / A parer mio

di Carlo Pancera

L'utopia si dice che non sia cosa di cui valga la pena interessarsi perchè sarebbe solo un puro esercizio di fantasia. Ma certi tra questi testi descrivono invece con passione come dovrebbe (e potrebbe) essere una società giusta, e con le loro descrizioni fecero intravedere una possibilità da perseguire, almeno come obbiettivo ultimo, anche se non del tutto applicabile. Mi riferisco a testi come la "Storia dei Severambi" del 1675, di D.Veiras (ma inizialmente ritenuta di Leibnitz), "La Repubblica dei filosofi, o storia degli Ajoiani", del 1683, opera uscita postuma, di Fontenelle, o la "Storia di Calejava, o dell'Isola degli uomini ragionevoli", di C.Gilbert, dell'anno in cui si dava inizio al secolo dei Lumi, o il "Naufragio delle Isole Fluttuanti" di Morelly, di metà del Settecento, o "l'anno 2440" di Mercier, del 1771.
Sono racconti fantastici che si inserivano in contesti nei quali si producevano molti progetti di trasformazione drastica dei sistemi giuridici ed economici vigenti, o si diffondevano voci su isole felici realmente trovate nei mari tropicali al di là del lontano Oceano. E in effetti ad es. tutti i testi appena menzionati furono pubblicati da Garnier nella sua monumentale raccolta in dieci volumi dei "Viaggi immaginari" , che tanto successo ebbe quando uscì nel 1787, ad appena un anno e mezzo dalla presa della Bastiglia e dunque da quella rivoluzione che nelle aspettative di molti prometteva di realizzare l'utopia nel mondo reale.
Poichè l'invitare a pensare come si ritiene che dovrebbe essere una società veramente perfetta, cioè immaginandola senza farsi frenare da considerazioni opportunistiche o realistiche, relative alla incombente presenza di ostacoli insormontabili, ci fa rendere maggiormente conto di quanto grande sia la discrepanza con la prosaica banalità della squallida quotidianità.
Perchè mai dunque tali racconti ebbero -e non solo alla loro epoca- un così grande successo? In parte appunto anche perchè rispondevano alla esigenza, che tutti proviamo, di sentirci dire cose nuove, di convincersi che si possa (e debba) immaginare un mondo migliore, di sperare che ciò che riteniamo esser buono, bello e giusto si realizzi almeno un giorno sia pur lontano, o almeno in una qualche remota parte del mondo.